martedì 3 aprile 2018

Omicidio al Cairo - Tarik Saleh

fino alla settimana prima della grande manifestazione di Piazza Tahrir del 2011 il commissario Noredin Mostafa fa la solita vita di poliziotto, qualche arresto, qualche pestaggio, qualche mazzetta, come sempre.
ma quella settimana gli cambia la vita, deve indagare su un omicidio di quelli pesanti, che coinvolge persone importanti.
Noredin Mostafa vuole fare le cose per bene, forse è arrivato il momento del riscatto, per lui stesso, per la sua dignità.
i suoi amici e colleghi lo tradiscono, quando capisce tutto è tardi.
grande film e Fares Fares è bravissimo.
cercatelo, non ve ne pentirete, è passato in qualche cinema, pochi spettatori, è sparito in fretta.
nei cinema all'aperto estivi potrebbe riapparire, chissà - Ismaele








Il regista arricchisce la vicenda, già politica, inserendola in un contesto decadente che porta alla rivoluzione; un tentativo di rinnovamento politico e sociale dopo un regime trentennale. La polizia, in quell’occasione, ebbe l’ordine di sparare sulla folla. Omicidio al Cairo risulta un thriller che ha l’eleganza di un noir ma ricorda i film politici e polizieschi degli anni '70, nella scarna crudezza e nel tentativo di raccontare una verità (opere che in Italia portavano le firme di Francesco Rosi ed Elio Petri). Se l’attore Fares Fares possa paragonarsi a Gian Maria Volontè è difficile a dirsi: l’attore svedese mantiene uno spaesamento e un’ambiguità contraddittoria che rendono il suo volto una maschera profondamente umana.

 Sul modello di un Marlowe lacerato da dubbi esistenziali, Fares Fares subisce la progressiva delegittimazione della sua figura di investigatore: con i soldi si può comprare tutto tranne la dignità e dalla radio la voce della cantante uccisa è un memento mori quasi profetico. L’antenna della televisione è rotta e Noredin va perdendo con il tempo sicurezza e autorità, dissolvendosi nel fumo delle innumerevoli sigarette aspirate. Sulla scena del delitto si ruba il denaro della vittima, i poliziotti torturano i sospettati, mentre i vertici dirigenziali tendono a chiudere frettolosamente le indagini archiviando il caso come suicidio. L’incontro con la cantante Gina (Hania Amar) fa rivivere a Fares l’illusione di un sentimento d’amore ma il riflesso in uno specchio nasconde l’ombra del ricatto. Anche Gina non è libera, vive solo in una prigione più grande. La canzone al club Solitaire rimanda a un destino di solitudine comune a quasi tutti i personaggi del film: anche la cameriera somala Salwa (Mari Malek), unica testimone oculare del delitto, è sola, mentre si moltiplicano i cadaveri e le connivenze di un sistema pronto a stritolare l’innocente nei suoi ingranaggi.
Tarik Salek gioca molto coi contrasti: le ville e i campi da golf della borghesia arricchita contro le stanze sporche e affollate dei quartieri dormitorio; la confusione della rivolta per le strade e la visuale atarassica da una camera d’albergo che sembra affacciarsi su un mondo da favola; la gente che si inchina davanti al poliziotto protettore e la solitudine di una fuga che finisce in pieno deserto. Il messaggio è chiaro: in una realtà così opprimente e piramidale non c’è spazio per i sognatori…

Il caso raccontato, ispirato a un vero fatto di cronaca precedente la rivoluzione, che vide protagonista un uomo d'affari accusato di essere il mandante dell'omicidio della sua amante, celebre cantante, nelle mani di Saleh diventa un thriller allegorico sugli abusi del potere e sulla corruzione endemica degli apparati dello Stato, che intascano mazzette come regola e insabbiano casi ritenuti sconvenienti. Nel marasma di una città in cui le forze di polizia si preoccupano più di mantenere gli equilibri precari in via di disgregazione che di difendere l'ordine, si staglia sensibilmente dall'insieme la figura sofferta di un investigatore (interpretato da Fares Fares), che ricorda un po' Solfrizzi, un po' Chiellini, ma che discende direttamente dagli antieroi dolenti e silenziosi di Jean-Pierre Melville. Non è diverso dagli altri, anche lui è coinvolto nel clima generalizzato di concussione, però prende a cuore il caso, ed è probabilmente – questo arbitrario ribaltamento di aspirazioni, lo scrollarsi di dosso improvvisamente il consueto torpore – l'occasione più debole del film. È tuttavia un personaggio coerente con gli altri protagonisti del cinema di Saleh (ed è anche più compiuto degli altri), e la sua decisione di affrontare un intero sistema avverso ha qualcosa dell'hamartia classica, che in questo caso assume i contorni dell'errore sociale e politico, più che dell'indole da loser del noir…

…Saleh in Omicidio al Cairo riesce a far emergere anche espressivamente la trama più profonda del racconto. Che certamente riguarda i destini del suo protagonista (e si concentra su un Egitto lontano anni luce dalle indubbie bellezze monumentali), ma più ambiziosamente riguarda i destini di una rivoluzione nata per essere ricompresa in fretta dai meccanismi più ferali della lotta tra poteri, in uno Stato che, pare suggerire il film, è strutturato per non cambiare mai. I prodromi della rivolta egiziana puntellano ovviamente l’intero racconto, che si ferma il 25 gennaio 2011, il giorno in cui migliaia di persone scesero nelle strade del Cairo per chiedere riforme al governo. Come Noradin, chi era animato da un desiderio autentico di libertà e di giustizia è destinato a essere intrappolato ancora una volta. E come Noradin (la cui televisione, che propagandisticamente decanta le lodi di un Egitto in crescita, è sempre mal funzionante), anche noi europei, che guardavamo quegli eventi attraverso lo specchio dell’informazione, abbiamo avuto una percezione parziale e monca. Da Mubarak non si poteva che arrivare ad al-Sisi, sembra dire Saleh, e solo la miopia ci ha illuso.
Come ha illuso Noredin, che per un attimo ha creduto di guidare delle “vere indagini”. Ma non esistono vere indagini, vere rivolte, vera giustizia, in un luogo in cui anche un caso di omicidio è terreno di ricatti e dove la morte non è mai solo quel che sembra. Intelligente, infine, il ruolo assegnato alla testimone del delitto, una “clandestina” fuggita dal proprio Paese, che cerca di imparare l’inglese per andarsene (come anche il giovane collega del protagonista, un poliziotto ancora ingenuo che guarda all’Europa come meta esistenziale), completamente sola e che, proprio perché al di fuori di ogni ingranaggio, compirà l’unico atto netto e definitivo della vicenda. Vincitore del Premo della Giuria come miglior film straniero al Sundance 2017, Omicidio al Cairo è uno di quei film in cui il godibile intreccio serve a leggere una vicenda più grande e vasta, perché ne coglie efficacemente la struttura. Impossibile non pensare a Giulio Regeni, rapito proprio il 25 gennaio 2016, la cui morte resta un caso angosciosamente irrisolto, avvolto da omertà e menzogne.

…El actor sueco de origen libanés, Fares Fares realiza una magnífica actuación como el perdedor Noredin. Exuda un aire de pesimismo resignado mientras intenta resolver los casos. Mientras más investiga, más corrupción encuentra y pone su vida en peligro también. Las violentas protestas de la sociedad para derrocar a Mubarak y su régimen que aparecen como telón de fondo nos sirve para establecer una analogía con la paulatina transformación de Noredin.
El policía parece está cansado de seguir siendo cómplice de un sistema corrupto, hastiado de ser empujado por los ricos y poderosos, harto de ayudarlos para aplastar los derechos humanos básicos, de tratar a los marginados como material de deshecho y prescindible, por lo que necesita poner fin a las mentiras y engaños…

Accueilli en France en période estivale après deux prix prestigieux, l’un américain, le Grand Prix de la World Compétition à Sundance, l’autre à Beaune, pour un Grand Prix qui était loin d’être anodin, Le Caire Confidentiel est a priori réalisé par un inconnu, un certain Tarik Saleh.
Cet ancien graffeur, réalisateur de documentaires (l’un sur Guantanamo, un autre sur la révolution cubaine) est pourtant connu comme clipper pour le tube I follow Rivers, chanson de sa compatriote Lykke Li, dont on garde tous en tête les images enneigées troublantes, et dans lequel on trouvait déjà la vedette de Le Caire Confidentiel, Fares Fares.
Pour son nouveau polar, après l’inédit Tommy (2014), le Suédois frappe fort avec une œuvre qui, une fois de plus, se délocalise. Cet amoureux de l’Histoire du monde, et grand spécialiste des opprimés, a décidé cette-fois ci d’infiltrer l’Histoire récente égyptienne, à l’orée du Printemps arabe et du soulèvement de la Place Tahrir. Délaissant l’approche purement documentaire pour évoquer les événements qui allaient mener le peuple à se révolter contre la présidence autoritaire de Moubarak, Saleh opte pour un mariage percutant entre la fiction (le thriller de chambre d’hôtel avec soupçons politiques) et le réalisme du reportage, puisque c’est bien au contexte historique qui s’ébroue en filigrane que l’auteur s’intéresse…

…La Primavera Araba in Egitto è stata soprattutto una rivoluzione contro lo strapotere della polizia e la corruzione; iniziò il 25 gennaio 2011, il giorno in cui l’Egitto celebra la Festa della Polizia. E proprio in quel giorno si svolge l’ultima scena del film. Omicidio al Cairo descrive la situazione che portò i giovani egiziani a sollevarsi contro la polizia e l’élite corrotta: un regista che vive e lavora in Egitto non sarebbe mai riuscito a trovare i finanziamenti per girare un film come questo, che mostra il sistema così esplicitamente.
E anche Saleh nel 2016 ha rischiato di non farcela. Lo racconta nelle Note di Regia: “Si tratta di un film sul Cairo, sul passato e sul futuro che collidono – e sulla gente che rimane schiacciata in mezzo. Tre giorni prima dell’inizio delle riprese l’Egyptian State Security ci ha messi a tacere e abbiamo dovuto spostare la produzione a Casablanca. Ero devastato. Poi ho pensato a Fellini e ad Amarcord. La gente della sua città, Rimini, può giurare di aver riconosciuto nel film strade e case. Lui, però, aveva girato a Cinecittà. Si poteva fare! Ma per ricreare una città devi catturarne l’anima. E Noredin è la nostra guida, un Principe della città.”  






Per il ruolo principale è stato scelto lo svedese di origine libanese Fares Fares, protagonista di molti film per il cinema e per la tv svedese, attore notevole fin dal debutto nel 2000 in JALLA! JALLA! diretto da suo fratello Josef, e visto di recente da noi in LA COMUNE di Thomas Vinterberg. Attorno al suo fisico così particolare Saleh ha cucito il personaggio del classico investigatore malinconico e senza scrupoli che, messo di fronte ad una clamorosa ingiustizia, si impunta e decide di mettervi rimedio. Un duro capace di inattese tenerezze, ad esempio nella scena in cui fa il bagno al vecchio padre, o per come si prende cura della ritrovata, spaventatissima testimone. Salwa, una dei tanti “invisibili” senza documenti che lavorano nelle città di tutto il mondo, è interpretata con passione da Mari Malek, ovvero DJ Stiletto, già top model a New York dove è arrivata bambina, profuga dal Sudan; oggi è anche un’attivista per il diritto allo studio delle bambine africane.
Omicidio al Cairo è dunque sì un noir, ma è insieme un film fortemente politico e di denuncia, come negli anni 70 sono stati Z L’ORGIA DEL POTERE di Costa-Gavras o INDAGINE SU DI UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO di Elio Petri. Un film che vuole scuotere il pubblico, fargli aprire gli occhi sulla realtà. E ci riesce.

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