sabato 28 aprile 2018

Loro (prima parte) - Paolo Sorrentino

pare che gli avvocati di Berlusconi aspettassero il film con il dito sul grilletto.
dopo aver visto la prima parte si può dire che non c'è lavoro per gli avvocati, Berlusconi (Toni Servillo) sembra una macchietta di se stesso o anche un po' deficiente.
il lavoro di Sorrentino sembra quello di un pittore, alla Hieronymus Bosch, che dipinge un mondo, un tempo, un ambiente, zoomando su un particolare e poi un altro e così via.
sembra che tutti siano parte di un grande disegno, e la seconda parte mostrerà quanto l'interpretazione esposta sia corretta o meno.
per quanto sembri la prima parte di una serie, un film di tre ore l'avremmo visto con piacere, solo un trucchetto per farci pagare due biglietti?
ricordo La meglio gioventù al cinema, era in due parti, ma durava quattro ore.
comunque sia Loro è un film che non si dimentica, bravi gli interpreti, amareggiati tutti quelli (noi) che hanno subito quegli anni, da quella gente, ma questo è un altro discorso.
buona visione, intanto - Ismaele




Loro 1 corre tantissimo e dura un attimo ma davvero non è un film, è l’introduzione ad un film. La divisione in due capitoli non è funzionale e non funziona, somiglia più a quella in due puntate di una miniserie, manca tutto l’intreccio e la sua soluzione, manca l’essenza della storia e ci sono solo le presentazioni dei personaggi, dinamiche come in un film inglese degli anni ‘90 oppure sornione come in una commedia ben scritta. Quello che è chiaro semmai è il tono: il massimo della vita (il sesso, il denaro, la bellezza sconfinata di persone, luoghi e possibilità) si accompagna necessariamente allo squallore, alla piccineria, all’ignoranza e alla decadenza. Filo conduttore di tantissimo cinema di Sorrentino e qui (coerentemente) applicato ad un contesto indubbiamente appropriato.
È insomma molto bello Loro 1, ma è solo un inizio. Anche tutto quello che di stimolante si può intuire è più in potenza che in atto.

C'è un po' tutto quello che ci si aspetta. Inevitabile conoscendo l'estetica del regista e i suoi precedenti, che pesano moltissimo e che in fondo minano l'originalità di alcune trovate in assoluto anche divertenti, geniali, del film. Resta un retrogusto come di 'riscaldato'. Un senso di già visto, che comunque funziona, perché il personaggio ha una capacità di penetrazione unica, per quanto il Divo e l'Andreotti di Toni Servillo fossero di altra pasta. In compenso qui c'è più margine per spostarsi sul terreno del grottesco piuttosto che della critica sociale (come in La Grande Bellezza), che tutto sommato dovremmo aver già ricavato dalle cronache reali…

Per Paolo Sorrentino il potere, in qualsiasi forma esista, è inestricabilmente legato al ridicolo. Nella sua filmografia fatta solo di potenti (in diverse forme, diverse ricchezze e diverse tipologie) sempre questi sono legati al grottesco, al comico e al risibile. Come se non ci potesse essere vessazione e possibilità di fare il proprio volere senza finire ad essere macchiette, i potenti come si muovono fanno ridere. E così Berlusconi vive in un mondo in cui tutto fa ridere, anche una gita con la moglie in moto d’acqua è un momento grottesco. Ma non è il grottesco maligno, notturno e ombroso de Il divo, è un grottesco simpatico e buffonesco, così bambinesco da ispirare tenerezza. Il Silvio Berlusconi di Servillo è impermeabile, non capiamo cosa pensa, si aggira irrequieto e non somiglia al reale Silvio, ma più ai pupazzi di gomma con la sua effige. Non è lui, è una sua presa in giro moderata, che riesce a non stonare in un film che non è comico.
Scevro da particolari volontà politiche, Sorrentino pare onestamente affascinato da quest’uomo che tutto può in un momento della sua vita in cui l’apice è passato e sente la decadenza, gestisce una squadra di calcio non più grandissima e detiene un ruolo nella politica non più granitico. Con questo mood, Silvio si aggira nei suoi possedimenti, con una moglie da riconquistare stancamente e una corte di miracoli che gli ruota intorno, fatta di chitarristi, ex ministri e servitori. Sappiamo tutti come andrà a finire, cosa accadrà tra questo plotone di donne nude in festa e l’ex premier annoiato, Sorrentino e Contarello (che con lui ha co-sceneggiato) creano un’attesa che è l’essenza stessa dell’arte di raccontare.
Purtroppo Loro 1 è un film incompleto, che finisce nel momento in cui presentati i personaggi sta per partire la storia. Non ha un suo arco, è un solo un abbocco, pieno di momenti fenomenali al pari di metafore di inusitata banalità e tristezza, momenti di cinema altissimo, capaci di trovare l’immagine e lo scenario che condensano mille riflessioni (scatenate nella testa dello spettatore), al pari di altri sconfortanti per puerilità.

…Vero protagonista della prima parte è Sergio Morra, una reincarnazione di Giampaolo Tarantini interpretata (benissimo) da Riccardo Scamarcio; invero, il film raramente offre nomi e cognomi dei personaggi reali, ma libere e fantasiose reinterpretazioni. Morra è un faccendiere che vorrebbe fare il salto di qualità, abbandonare quel "cesso di Taranto" trasferendosi a Roma. L'illuminazione giunge mentre, facendo sesso e pippando cocaina, scorge sul fondoschiena di una escort un tatuaggio: è il volto di Silvio Berlusconi, ma già trasformato nella maschera di Toni Servillo. 
"Loro 1" potrebbe essere quello che "La grande bellezza" non riusciva a essere fino in fondo, almeno per chi scrive: la fotografia della decadenza italiana (e per sineddoche il tramonto dell'Occidente?), dalla prospettiva di chi ha scelto deliberatamente di farne parte; nel film premio Oscar e vero spartiacque della carriera del regista, il commento fuori campo e gli aforismi di Jep Gambardella rivelavano un eccesso di autocoscienza che lo poneva comunque al di sopra della fauna attraverso cui si muoveva. Scomparsa questa consapevolezza, in "Loro 1" resta l'ebbrezza, la rappresentazione realista (e quindi grottesca) non soltanto di una fenomenologia sociale ma anche di un immaginario collettivo. Ed è per questo che Sorrentino, descrivendo non l'apogeo dell'età berlusconiana ma il tardo impero, inizia dalla base del prodotto (e dall'indotto) di quest'epoca. Una prima ora che è un'allucinata e sfrenata festa con la musica a fare da catalizzatore per movimenti di macchina ingiustificati e jump-cut, realizzando non l'orgia del potere ma il potere dell'orgia. Morra si ricicla spericolato entrepreneur e agente di molte ragazze ma, in fin dei conti, va avanti a fare il pappone: il corpo femminile è la merce di scambio, la strategia per una scalata gerarchica…

Schietto, ironico, ma anche cattivo, il Silvio di Paolo Sorrentino (non sentiamo mai pronunciare il suo nome completo) è un uomo a un bivio, così come lo sono gli spettatori che per completare la visione e il quadro che il regista ha dipinto dovranno aspettare fino all’uscita di Loro 2.
Nel suo essere un racconto incompleto di un’idea precisissima che il regista vuole raccontare, Loro 1 è comunque un’operazione intrigante, che unisce l’impronta del regista, che non rinuncia al suo stile e al suo bagaglio visivo (per fortuna), a una biografia impegnativa che ha scelto di inquadrare in un periodo storico preciso ma con una tecnica poco discorsiva, preferendo l’impressionismo alla successione dei fatti, associando all’uomo privato, l’idea che “lui” proietta intorno a quel marcio vortice di ambizioni e speranze, quello stile di vita che la sua icona ha contribuito a far nascere.

Rozzo, squilibrato, volgare: con Loro 1 Sorrentino dimostra definitivamente di non avere le doti artistiche necessarie per trasformare corruzione e vizio in un affresco potente e sperimentale (si confronti con lo scorsesiano The Wolf of Wall Street). Eppure, Loro 1 ha un’indubbia forza cinematografica che si nutre anche dei propri errori: il regista ha un’ambizione ed una sfacciataggine tali da conferire fascino ad un sistema linguisticamente limitato, ma forte di un innato senso di grandezza.
Loro 1 è simile all’Italia: paraculo, sbruffone, improvvisato, con lampi di raro ma indiscutibile genio. Nel film di Sorrentino troviamo innervato l’atteggiamento italiano di fronte alle cose: un parassitismo dichiarato (le “influenze” di tanto cinema precedente sono chiaramente riconoscibili ed enumerabili), un’attenzione quasi esclusiva alla superficie (evidente nel tratteggio di situazioni e personaggi), la volgarità cafona, esibita ed esagerata come misura stilistica…

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