sabato 13 gennaio 2018

Coco - Lee Unkrich, Adrian Molina

parafrasando Pier Paolo Pasolini, la morte non è nel non potere più comunicarema nel non potere più essere ricordati.
questo è il senso del film, la ricerca selle radici, del passato, per onorare gli amati e gli avi nel giorno dei morti.
dopo Eisenstein anche la Pixar tratta El Dia de los Muertos, alla sua maniera, con una storia piena di musica, avventure, colori, sentimenti e colpi di scena.
potete non andare a vederlo, ma chi ve lo fa fare a restare tappati in casa, la sala vi aspetta*.
andate e godetene tutti - Ismaele


*sappiate che tutto quello che prima del film ci/vi costringono a guardare questa volta è più del solito.
dovrebbero pagarci per farci vedere quello che non vogliamo, e invece paga lo spettatore.





…La parte centrale di Coco è ambientata proprio nell’aldilà dove Miguel, con l’aiuto del fido cane randagio Dante (il nome non è casuale), incontra la trisnonna Imelda e gli altri parenti, ma si imbatte anche nei defunti che rischiano di scomparire definitivamente perché non hanno più nessuno in Terra che li ricordi ed esponga la loro foto per la ofrenda. Stringe così amicizia con Héctor (nella versione originale ha la voce di Gael García Bernal), un ex musicista dalle ore contate, che promette di aiutarlo a incontrare Ernesto De La Cruz. Come già succedeva ne La sposa cadavere di Tim Burton, l’aldilà è rutilante di colori e di attività, un luogo magico dove imperversano gli alebrijes – gli esseri immaginari che uniscono caratteristiche di vari animali qui diventati spiriti guida – e dove Miguel stringe amicizia con Frida Kahlo e le dà consigli per un geniale balletto con al centro una papaya. Dopo l’agnizione finale il coro dei cadaveri lascia spazio al ritorno di Miguel nella terra dei vivi e alla risoluzione dei conflitti. Il film, diretto da Lee Unkrich (con Adrian Molina), ha il merito di affrontare il tema della morte in maniera non banale e di mettere al centro un mondo matriarcale che, se inizialmente è arcaico e legato ai divieti, poi sa accogliere il cambiamento e rivelare le sue vere radici. Non per nulla il titolo porta il nome di un personaggio del tutto marginale – Coco è la bisnonna di Miguel e sta perdendo la memoria – ma che finisce per essere il deus ex machina di tutta la storia: è lei che permette di ristabilire la verità e si fa metafora vivente della memoria che riaffiora proprio grazie alla canzone “Ricordami” che il padre le cantava quando era bambina. A ribadire, se ce ne fosse bisogno, che l’arte è lo strumento per raggiungere l’eternità.

Come livello emotivo, siamo dalle parti di Up, oppure della “sparizione totale” di Inside Out: il messaggio sembra proprio essere che c’è qualcosa di peggio della morte, e non siamo sicuri che i bimbi più piccoli potranno capirlo perfettamente. D’altra parte, proprio come nei due film di Disney e Pixar appena citati, il finale è una esplosione di gioia, il classico “tutti felici e contenti” – ma portatevi comunque una confezione formato famiglia di fazzoletti di carta perché serviranno, magari non solo ai più piccoli.

Per la Pixar (è ormai evidente) solo attraverso la proiezione e gli artifici della memoria perpetua impressa su celluloide, digitale o nastro si può arrivare alla verità. Addirittura qui Miguel scoprirà la vera identità di un personaggio vedendolo comportarsi come in un film che conosce a memoria: nella realtà sarebbe stato ingannato da quelle azioni, ma i film a differenza della realtà non sono ambigui, e quindi ha imparato che quei gesti preludono ad altro. Solo il cinema aiuta a vivere, solo le immagini riprese dicono la verità. L’unica vera forma di memoria possibile è quella del video.

Coco es, posiblemente, la obra más sentimental de Pixar en muchos años. Es una historia que, bajo su abrumadora animación llena de imágenes preciosas (esos alebrijes mitológicos con sus apabullantes coloridos; el magistral diseño de esa urbe que es el Mundo de los Muertos, habitada por simpáticos esqueletos) y una aventura un tanto convencional, que bascula entre temas tan recurrentes en la compañía como la persecución de los sueños a toda costa –aquel roedor Remy que quería ser chef francés en Ratatouille (Brad Bird, 2007)–, dos mundos separados por una leve barrera –los armarios de Monsters, S.A.– o la importancia de la unidad familiar –Buscando a Nemo–, entrega un rico relato lleno de ternura y unos valores nada impostados que, por desgracia, poco abundan en un cine actual demasiado dominado por el cerebro. Esta profunda carga emotiva es especialmente cautivadora en las escenas que muestran la entrañable relación que mantienen Miguel y Mamá Coco, único personaje que, bajo el cruel silencio forzado por sus más de 90 años de vida, conoce toda la verdad del misterio que rodea a la figura de su padre, ese que su bisnieto descubrirá en su odisea a través de un inframundo por el que pululan personalidades tan ilustres de la Historia mexicana como son Frida Kahlo (presentada de forma divertidísima, en toda su egolatría, en una de las escenas más artísticas a nivel visual) o el actor y cantante Pedro Infante. La banda sonora es otro de los puntos fuertes de la cinta, ya que, junto a la maravillosa música de Michael Giacchino, oímos temas tan inmortales como esa La llorona que entona Mamá Imelda en una de las escenas más enternecedoras de una función cargada de personajes secundarios memorables, como ese Ernesto de la Cruz que pasa de ídolo a villano; el perro vagabundo Dante, reconvertido en fiel guía espiritual; la temperamental (y símbolo del matriarcado del país en el que se verán reflejadas muchas abuelas) Mamá Elena; o el embaucador Héctor, un alma en pena que ayuda a Miguel en su periplo y que esconde más de un secreto. Puede que no estemos ante una de las obras mayores de Pixar pero es indudable que sí se trata de uno de los mejores filmes animados del año y, con diferencia, el que tiene más corazón, que apuesta con entusiasmo por la diversidad cultural y temas tan universales que son capaces por sí solos de que su mensaje llegue con la misma contundencia a todos los pueblos, sin distinción de razas o idiomas. Un emotivo y bello canto al valor de la familia.

Stringi stringi, Pixar fa da anni sempre lo stesso film sulla paura di essere dimenticati (o di dimenticare), sul processo di crescita del protagonista e sull'importanza del ricordo e dei legami familiari. Le loro storie iniziano da una premessa che introduce il contesto, avviene un evento di rottura che sconvolge l’ecosistema del protagonista ed egli si mette in viaggio, con uno o più compagni, per poter mettere una pezza sui suoi errori. Il viaggio non è mai solo esteriore, ma anche interiore: il protagonista, attraverso le esperienze maturate lungo il percorso, prende coscienza dell’importanza di qualche elemento che precedentemente riteneva di poco conto (o addirittura nocivo) e impara qualcosa di più su se stesso. Al termine del viaggio, nell’aver rimesso al suo posto ogni cosa, il protagonista attua un cambiamento radicale che modifica lo status quo iniziale del suo ambiente…
…Pur essendo una gioia per gli occhi, ricca di riferimenti visivi e colte citazioni, è sul piano emotivo che il nuovo film Pixar gioca le sue carte migliori. Senza negarsi quel pizzico di ruffianeria che non guasta, Coco riesce a lasciarti lì con gli occhi lucidi e il groppo in gola, senza alcun ritegno per la tua virilità. Lo fa tratteggiando personaggi adorabili, concreti, melodrammatici quanto basta, e toccando le corde giuste, come al solito, nella maniera più elegante possibile. Coglie il vero potere evocativo della musica, capace di spalancare le porte della memoria e lasciare entrare un fiume incontrollato di ricordi, sentimenti ed emozioni; un potere capace di ridare vitalità e riaccendere il grigio volto di chi sembrava a tanto così da abbandonare il nostro piano dell’esistenza…

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