sabato 1 aprile 2017

Cosmos - Andrzej Zulawski

l'ultimo film di Andrzej Zulawski è un film diverso dai suoi più conosciuti.

è tratto da un romanzo di Witold Gombrowicz, e racconta una storia ambientata in un posto dimenticato da dio e dal mondo, alla fine della terra.
succedono piccole cose, di importanza minima, se non per qualche personaggio.
sappiate che non succederà niente di memorabile (come succedeva negli altri film di Andrzej Zulawski), solo piccole cose della vita - Ismaele








Probabilmente una delle cose che mi ha fatto innamorare, diversi anni fa, del cinema di Zulawski è la sua stessa visceralità. I corpi, gli spasmi, i tic, le tensioni nervose, l'intera coreografia di movimenti epilettici restituivano un senso di attrazione e repulsione, di morbosità, di amore profondo per la carne. Un cinema in continua detonazione pronto ad avvolgere tutti i sensi, a solleticare, innervosire, eccitare lo sguardo come pochi hanno saputo fare. Un cinema messianico, eccedente, apocalittico e fieramente, saldamente disgustoso. "Cosmos", il suo ultimo film dopo una pausa di quindici anni, è un oggetto filmico che mi ha attratto, respinto, lasciandomi interdetto e impossibilitato a scriverne. Eppure oggi mi rendo conto di una cosa: c'è uno slittamento, un passaggio dal cuore nervoso dei suoi film precedente al cervello che muove le immagini. E' un'opera dove tutto il disgusto, tutto il plus vitalissimo delle immagini, viene rinchiuso all'interno di un progetto calcolato minuziosamente, di un gioco cerebrale prima che fisico, concettuale ancora prima che motorio. L'anormalità del corpo zulawskiano diviene qui standard, maniera, deriva, e il rischio di essere monocordi, intrappolati in un film-pensiero, è evidente inquadratura dopo inquadratura. Quella che mi è mancata insomma in "Cosmos" è la vera libertà di Zulawski, il suo stesso gesto cinematografico che è quello della vita prima ancora della morte, dell'azione prima ancora del pensiero. Continuerò a rifletterci e a tornarci, perché "Cosmos" ritorna sempre nei miei pensieri. Ma più rifletto più comprendo che lo Zulawski che ho tanto amato è un altro.

"Cosmos" è un giallo filosofico, dove la vittima è la comprensione della realtà che si è fatta frattale e il linguaggio - sia segnico che fonico - è uno strumento spuntato e imperfetto. Un trattato filosofico per immagini alla ricerca di senso in cui far implodere tutto l'universo culturale occidentale. Innanzi tutto il cinema con le continue citazioni esplicite a Pier Paolo Pasolini ("Teorema") e Steven Spielberg (oggetto di ironia da parte di Leon) o implicite, con i rimandi continui ai film di Luis Bunel: al tono surrealista di "L'age d'or"; al finale ripetuto di "Tristana"; al personaggio doppio interpretato dalla stessa attrice di "Quell'oscuro oggetto del desiderio", qui rappresentato dalla cameriera Catherette e dalla parente Ginette; e soprattutto da "Il fascino discreto della borghesia" per la struttura di alcune sequenze intorno ai pranzi e cene che finiscono sempre male o l'intervento del prete raccolto sulla strada. L'operazione prosegue con un processo di innesto di letteratura surrealista, come gli elenchi di parole (recitati da Witold e Leon con primi piani insistiti), i calembour, le connessioni inconsce, i dettagli di animali (l'uccello, il gatto, i vermi, la lumaca sulla brioche durante la colazione di Witold, le mosche che fuoriescono dal prete nella sequenza finale del bosco, ecc...). Abbiamo poi una conduzione degli attori che si rifà al teatro dell'assurdo e quindi a una recitazione razionale e naturalistica ne subentra una espressionistica e irrazionale, all'interno di dialoghi dove la logica è assassinata (un omicidio dell'immanenza per arrivare a un sorta di trascendenza)…

… Il regista Andrzej Zulawski confeziona un noir bislacco in cui tutti recitano sopra le righe e paiono posseduti da forze oscure. Il suo film non è un horror (al massimo prende in prestito espedienti thriller) ma è un orrore per i miei sensi. Ho provato, infatti, l’ebrezza di dover chiedere supporto ai compagni di sventura al fine di trovare rassicurazioni e comprendere cosa stesse realmente accadendo sullo schermo. Non è servito a molto: la platea era divisa, troppo persa per i suoi pensieri. Ufficialmente si presenta come una colta opera surreale con finale sorprendente, di fatto ti fa dubitare delle tue facoltà mentali.
Il protagonista Witold è uno spilungone fifone, vittima di ogni sorta di fobia (dalla paura del buio a quella per l’acqua e così via), che vaneggia e s’invaghisce della giovane proprietaria. Tutti sembrano avere più di un problema: assecondano e alimentano la follia altrui. Come se non bastasse, la rappresentazione è farcita di citazioni pseudo- brillanti, inquadrature allusive e ogni sorta di stimolo adatto al cinefilo in cerca di rassicurazioni. Se volete testare la vostra conoscenza di letteratura, storia del cinema e filosofia, accomodatevi, tutti gli altri invece sono avvisati di ponderare con prudenza l’ingresso in sala.
COSMOS è da maneggiare con cura. È sgangherato. Mostra gente allucinata e provoca smarrimento. È un vero attentato al buon umore e, in base alla mia esperienza, sarà apprezzato soprattutto da chi attendeva una nuova occasione per dimostrare di essere superiore al volgo (tutti noi!). Posso scommettere che da stasera l’intellighenzia lo sosterrà. Io l’ho subìto e la voglia di leggere il libro è svanita in un lampo. Convivrò coi dubbi.

Non è piaciuto a nessuno o quasi questo Cosmos, ritorno dopo parecchi anni al cinema di un autore di consolidata fama sulfurea come Andrzej Zulawski, polacco e pure un bel po’ parigino. Chi si aspettava si rinnovassero gli scandali dei suoi lontani Possession e La femme publique sarà rimasto deluso. Cosmos è cinema nobile, pieno di finezze, cinema di un uomo che molto ha letto, visto, vissuto, conosciuto e che si colloca ormai lontano dall’isterica ipermodernità nostra. Un film squisito e inattuale, ripiegato su se stesso, autoreferenziale, incapsulato in una bolla, affine per certi versi a quelli del tardo Resnais, Aimer, boire et chanter o Vous n’avez encore rien vu. Con personaggi che oggi semplicemente non esistono più in natura, anche se Zulawski cerca di allacciare qualche vago riferimento all’attualità (il mondo del fashion parigino evocato da uno dei protagonisti, per esempio). Tutto girato in Portogallo e però parlato in francese con personaggi francesi, a sottolineare l’artificiosità dell’operazione, il suo antinaturalismo…
Non c’è niente, in un cinema come questo, che possa piacere a chi ha meno di quarant’anni, e anche di cinquanta. Mi chiedo se fosse proprio il caso di metterlo in concorso. Non era meglio una collocazione meno esposta e rischiosa? E però, se vi capita – non saprei dirvi dove come quando – non perdetevelo. C’è il segno di un maestro.

1 commento:

  1. zulawski mi interessa molto, avendo visto L'importante è amare, possession e la femme publique, quindi mi segno questo film per poi vederlo ^^

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