martedì 8 novembre 2016

Un monstruo de mil cabezas (Un mostro dalle mille teste) - Rodrigo Plà

Rodrigo Plá l'avevo conosciuto nello stesso sgarrupato cinemino dove davano La zona, e adesso tocca al nuovo film.
un film di corsa, che non consente di respirare troppo, claustrofobico.
c'è una cosa che unisce i due film, che los de abajo e los de arriba vengono a contatto, ed entrambe le volte non è una situazione pacifica.
le situazioni sono di vita o di morte, ma a morire sono sempre los de abajo, toccare i fili del privilegio e del potere è pericoloso.
Un monstruo de mil cabezas mi ha fatto pensare a Io, Daniel Blake, in entrambi i film la realtà anticipa quella italiana, il passaggio dal welfare alla carità, da cittadino portatore di diritti a questuante, per via anonima e burocratica, nel film di Ken Loach, il passaggio dalla sanità pubblica a quella privata, sanità di classe e di censo, nella quale malato e profitto sono l'uno il carburante dell'altro, nel film di Rodrigo Plá.
costante dei due film è il telefono, il potere delega il rapporto con il cliente a una segreteria, a dei messaggi preregistrati, o a un call center, e la lotta è impari, vince sempre la prepotenza delle regole, dei trucchetti, delle ragioni di ordine tecnico.
difficilissimo vederlo al cinema, è in un numero di sale a una sola cifra, ma, se capita che un pazzo lo proietti nella vostra zona, non esitate, non sarete delusi, promesso - Ismaele








…Il film diretto da Rodrigo Plá è un thriller psicologico, è un dramma familiare, è uno squisito racconto per immagini che dopo un anno nel circuito festivaliero si è guadagnato l’emersione e il confronto con il pubblico delle sale cittadine. E a ragion veduta. Adottando una duplice prospettiva, e facendoci parteggiare per la povera donna sempre più stremata, il regista ci conduce al di la dello schermo in ambienti resi claustrofobici dalle inquadrature e dalle circostanze. La tensione è ovvia, la proviamo facilmente anche noi, dato che ciò a cui assistiamo non è differente da quello che potrebbe capitarci domani e che ci ricorda tutte le volte in cui ci siamo scontrati con una burocrazia sorda gestita da addetti con la mente lontana.
La riuscita dell’opera, peraltro trasposizione su grande schermo dell’omonimo romanzo di Laura Santullo (qui in veste di sceneggiatrice), è data dal duplice punto di vista, le immagini sono accompagnate da narratori fuori campo (a voi scoprire il motivo); dall’interpretazione convincente di Jana Raluy, attrice in prestito dal teatro, che amiamo sin dall’inizio, che comprendiamo, con la quale soffriamo e alla quale auguriamo un miracolo che la faccia avere la meglio; e da quel ritmo così serrato da rendere Un mostro dalle mille teste, un lungometraggio di soli 75 minuti, intenso e  perfetto…

E Sonia diventa quindi l'eroina di noaltri, la donna che rischia la propria vita non solo per l'amore assoluto verso il marito, ma anche per cercare di scovare e far venire fuori tutto il marcio del sistema.
Una donna pronta a tutto, ormai quasi incapace di intendere e volere. Una donna in un giorno di ordinaria follia scaturito soltanto dal non esser stata ascoltata.
Certo, sembra tutto dannatamente eccessivo ma se poi pensiamo allo stato in cui versa il marito, alla morte imminente, capiamo che il tentare di tutto fa veramente parte del gioco, specie per una donna legata agli affetti famigliari in modo impressionante.
A tal punto davvero magnifici tali rapporti, quello del figlio col padre (tratteggiato in due semplici battute) e quello tra madre e figlio, fortissimo, indissolubile e quasi straziante in un paio di scene di abbraccio…

Qui siamo in Messico, nella capitale, e il bersaglio grosso di questo non trascurabile, abilissimo film destinato a sicuro successo internazionale (anche da noi, se adeguatamente distribuito) è la sanità privata, il cinismo e la cupidigia dei signorotti dei farmaci e delle terapie. Rodrigo Plá però il suo film di classicissima, robusta denuncia lo realizza in forma di thriller, ricorrendo ai modi e ai luoghi narrativi di certo cinema di genere, e azzecca un racconto che, pur con parecchi buchi di verosimiglianza e sceneggiatura, tiene avvinti fino all’ultima scena. Come peraltro aveva già fatto nel suo precedente La zona, presentato proprio a Venezia sul finire della scorsa decade e poi diventato un ottimo successo internazionale nel giro arthouse. In quel film Plá immaginava un mondo appena appena distopico con i ricchi rinserrati in zone protette cui i poveri davano l’assalto, qui non ha bisogno di immaginare nessun futuro, si limita a registrare il presente e le sue molte cose storte. La rigida divisione di classe, presente nella Latino America molto più che in Europa, e più estrema, la plebe o se preferite il popolo a fronte di una casta di privilegiati. Il motore narrativo del film è innescato dal cortocircuito tra questi due mondi…

…Strutturato come un thriller che cresce di tensione poco per volta, Plà sfrutta una soluzione narrativa che anticipa le conseguenze finali del gesto che invece verrà rappresentato poco per volta, secondo un’escalation motivata dalla disperazione e dall’impotenza verso un organismo che risulta troppo perverso e contorto per essere affrontato con la correttezza di una battaglia ad armi pari.
Denso di avvenimenti e conciso, senza inutili preamboli, il film, di soli 70 minuti circa. procede verso la sua strada con una efficace capacità di narrazione, evitando inutili scene madri ed esaltazioni concitate: la realtà drammatica della consapevolezza di battersi in modo assolutamente impari contro un sistema corrotto e perverso non hanno bisogno di scene madri esaltate, gore o particolarmente esagitate: la realtà prende il sopravvento rendendo più lucido l’operato della protagonista, trascinata nella disperazione più cupa da circostanze e sotterfugi davvero vergognosi e disumani.

…El humor negro es la excusa para ser completamente incisivo con el sector, y procura, con éxito, lanzar sus peores dardos de forma sutil. Qué mejor que esconder frases del tipo “se opera a muertos para ganar un dinero extra” en medio de una escena en la que la mujer está apuntando sin demasiada convicción a los dos directivos de la multinacional sanitaria. Frases que pasan desapercibidas, pero que quedan retenidas en nuestra memoria, y van acumulando nuestro estupor ante los eventos (no los secuestros, tiroteos, y mil situaciones que parecen imposible le ocurran a una señora como Lorena… sino los protagonizados por los directivos, accionistas y asistentes personales de éstos).
Así que Un monstruo de mil cabezas nos atrapa por enfocar un grave problema del que no queremos darnos cuenta desde un punto de vista poco común y porque, además, podría hacer referencia a cualquier tipo de industria, o de sector. Farmacéutico, bursátil… la corrupción nos rodea. Deberíamos evitar ser filmados en primer plano, formando parte de ella.

…L’ambizione non manca di certo al regista uruguayano-messicano, né la verve: prendendo spunto da un romanzo (e da una sceneggiatura) della sua compagna di vita e fedele sodale Laura Santullo, Plá racconta la tetra vicenda di una donna che, portata allo stremo della resistenza psicologica dalla malattia mortale del marito, perde la trebisonda e prende in ostaggio quelli che lei ritiene essere i corresponsabili delle condizioni del consorte. Vengono così minacciati con una pistola i medici, gli assicuratori, gli avvocati che (parte integrante dell’ingranaggio del sistema messicano) non si assumono fino in fondo le proprie responsabilità nei confronti dei pazienti e dei clienti. Trascinandosi dietro il figlio adolescente, Sonia Bonet – questo il nome della protagonista, a cui dà corpo e voce una fin troppo spiritata Jana Raluy, attrice televisiva piuttosto nota in patria – vive un giorno di ordinaria follia, attraversando una città in cui la moltitudine sembra preoccuparsi molto più della finale del campionato di calcio tra il Pumas di Città del Messico e il Chivas di Guadalajara che delle reali condizioni in cui versa la vita quotidiana.
Uno spaccato sociale che lascia però ben presto spazio a un thriller ansiogeno quanto confuso, zeppo di buchi logici e privo di una reale visione politica. Lo sguardo di Plá, così attento e certosino ai tempi dell’esordio, si è annacquato in una palude qualunquista in cui il gioco è diventato quello del tiro al piccione. Si spara nel mucchio, in modo da poter colpire qualcuno, prima o poi. Una scelta a dir poco discutibile, come quella (in tutto e per tutto legata alla struttura del film) di intervallare una narrazione “oggettiva” con i punti di vista dei vari protagonisti, che intervengono con voce fuori campo come testimoni del processo contro la Bonet: un escamotage rabberciato, utilizzato per di più in modo del tutto discontinuo. Preso dalla fregola del racconto e dell’invettiva, Plá dimentica in un cantuccio la narrazione; non potendo contare su un apparato visivo particolarmente forte, quasi che la regia fosse una scaturigine dell’umore del cineasta, Un mostro dalle mille teste arranca quasi da subito dietro i suoi personaggi, che smarriscono con troppa facilità identità e spessore…

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