domenica 16 ottobre 2016

Le tre scimmie - Nuri Bilge Ceylan

il cinema di Nuri Bilge Ceylan è un po' come quello di Wes Anderson, riconoscibile e un po' a parte, diverso.
Le tre scimmie è fatto di silenzi, attese, scelte, rinunce, viltà, prepotenze, convenienze, passività, rancori, privilegi, vendette, e anche dell'assenza di tutto questo.
astenersi quelli che "il cinema di Nuri Bilge Ceylan è troppo lento, è noioso, non succede quasi niente, ecc. ecc."
per me merita il tempo che gli si dedica - Ismaele







Cosa colpisce in questo film? Non la storia, quasi inesistente.
Ceylan non ama raccontare, nessuno dei suoi film é appagante sotto questo profilo, un modo coerente, peraltro, con la cifra di fondo del cinema del suo paese.
Con Ceylan é facile usare parole sbagliate, parlare di lentezza, noia, banalità di trame.
Piccole eresie, i tempi di Ceylan si misurano con il tempo reale, se colpo di scena interviene a rimuovere il torpore consueto (incidente, adulterio, omicidio) resta abilmente fuori campo, vediamo quello che vedremmo nella vita vera, frammenti riflessi in uno specchio.
Eppure non parliamo di naturalismo per questo cinema, anzi, é quanto di più costruito ci sia, con quella tecnica di ripresa che punta l’obiettivo a fil di pelle, sudore e pianto colano sullo schermo, gli occhi, una piega delle labbra, il linguaggio silenzioso del corpo, tutto é scelta di un autonomo punto di vista e riconoscimento della dimensione soggettiva, che é propria dell’esperienza personale.
E’ performance lirica, che mentre testimonia progetti, pensieri e tensioni dell’ambiente umano di cui è partecipe, afferma la propria individuale percezione e interpretazione del reale.
Il senso del bello é profondo.
Come Mahmut in Uzak,Eyut  viene lasciato a guardare i battelli che sembrano immobili, in lunghe file sul Bosforo, mentre un tuono lontano annuncia pioggia.

Nessuno riesce a capire chi è, che cosa vuole e chi ha davanti. Ma tutti -e qui risiede la grandezza sottovalutata da molta critica- sono belli, luminosi. Perchè hanno un’anima. L’anima è data dalla solitudine in cui i protagonisti con poca autonomia si interrogano; l’anima è la connessione-sconnessione nei loro rapporti che il regista scolpisce nella successione fenomenologica degli attimi in PPP alternati.
In fondo il vero protagonista -come succede ai registi-autori- è forse Ceylan stesso, è, cioè, il suo stile. Da qui forse l’accusa da parte di alcuna critica di estetismo. Non c’è estetismo. C’è invece estetica e necessità. Ceylan compone una tragedia senza tragedia, perché la prosciuga, la depura da ogni melodramma. Ceylan fa un film realistico ed insieme simbolico, narrativo e insieme filosofico, un film di rapporti psicologici senza psicologismi. Non inventa uno stile, è uno stile.

I personaggi, poi, appaiono ancor più vuoti del film: la madre, per esempio, fin troppo arrendevole e pronta a farsi urlare in faccia da chiunque; o il politico, talmente inetto e inconsistente da rendere non solo non credibile, ma persino ridicola la scena del litigio con l'amante, esempio perfetto di come confrontare la bellezza della forma (lo scenario mozzafiato di una scogliera sotto un cielo burrascoso), con la sciatteria del contenuto (un dialogo imbarazzante).
A proposito di forma, la fotografia "sporca" e i colori virati "a seppia" non sono male, ma alla lunga confermano comunque l'idea che si tratti di un manierismo abbastanza inutile.
Un consiglio: recuperatevi "Uzak", film migliore del regista e lasciate perdere questa ennesima dimostrazione di chi, come Ceylan, crede che bastino ancora i silenzi, le pause prolungate, le battute date con quel secondo in più di ritardo o lo sguardo della macchina da presa buona solo a soffermarsi troppo sui corpi plastici degli attori per fare cinema "d'autore".
E per favore, lasciamo stare Antonioni.

como si estuviésemos en un lienzo de Caspar David Fiedrich, destaca  el protagonismo esencial que dota a los fenómenos atmosféricos en un claro y arrebatador aliento romántico.
La película se abre y se cierra con una tormenta y la escena clave del reencuentro del político y la madre en un espacio abierto, certifica las posibilidades dramáticas que en él destilan los cielos fuertemente nubosos. Esa escena en la que están filmados en la lejanía, donde casi solo podemos advertir sus siluetas, ocupa gran parte del plano un cielo grisáceo y oscuro que se va poblando de nubes lóbregas. A medida que la discusión va acrecentado en intensidad, ese cielo que ocupa tres cuartas partes del cuadro, va adueñándose de forma progresiva de un magma negro por la acumulación de nubes que avecinan una gran tormenta. Como si estuviésemos ante un renovado Victor Sjöström, quedamos subyugados por el cautivador poder expresivo que en este film tienen los preludios de tormentas meteorológicas en consonancia con los estados anímicos de sus personajes.

It's a slow moving and deliberate film with minimal dialogue that dares to try and intelligently understand such human nature and what leads ordinary people to deviate so far from the path of what's right. Fascinating stuff if one has the patience to get into the film's intrigues and somber tragic moments that sometimes seem too plotted and melodramatic. But when hitting on all cylinders, it's a film that boils over with provocative cityscapes, subtle black humor, the banality of evil and the complications that arise from an emotional situation that can get out of hand.

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