giovedì 15 settembre 2016

Paradise Beach - Dentro l'incubo (The swallows) - Jaume Collet Serra

primo mercoledì del cinema a due euro, sale piene, per "Men in the dark" non c'è posto, proviamo con il film di Jaume Collet Serra. 
molti entrano con i soliti maxi contenitori di popcorn, è tutto un masticare, per tutto il film, sangue o non sangue, e anche ridere e chiacchierare.
credo che molti sgranocchierebbero di gusto vedendo un documentario sulle autopsie.
il film, come dice qualcuno, è un film d'intrattenimento, niente di straordinario, tutto sulle spalle di Nancy, quasi solo l'unico interprete, oltre allo squalo.
a un certo punto ha una parola di pietà per lo squalo, nonostante tutto, quando cìvede che lui ha un grosso amo conficcato in bocca.
lei è coraggiosa e brava, di sicuro non è un film per chi è indeciso se fare surf - Ismaele





Paradise Beach risponde all’appello di ogni regola non scritta del suo genere e lo fa con l’abilità che serve in questi casi, quella che impone di raccontare sempre la stessa storia ma con una retorica convincente. Quanto tempo passa prima del primo attacco? Quanto verrà ferita la protagonista prima di reagire? Come fermerà il sangue? Quanto sarà tangibile il suo dolore? E alla fine, quando il confronto si fa immenso e necessario, quando il tempo stringe e la sete d’omicidio dello squalo si fa inarrestabile, quanto sarà epico lo showdown? Jaume Collet-Serra e Anthony Jaswinski rispondono bene a tutte le domande in meno dei 90 canonici minuti.


…Le onde della noia insomma travolgono lungo un'ora e mezza dalla quale si salvano soltanto i dieci minuti in cui la lotta con lo squalo feroce si fa senza colpi: sebbene magari non molto credibile, in particolare per quella che è la risoluzione, almeno rende la visione un minimo eccitante e si dà un senso ad una tensione evidentemente più ambita e teorica che reale. Ovviamente non è sufficiente - come non lo sono gli splendidi scenari - a salvare un film piatto e che non osa mai.
Ah, il tifo era tutto per lo squalo.

….In The Shallows i segni della morte sono anche i segni del percorso esistenziale della protagonista: il cadavere della balena, la spiaggia isolata e l’isola dalla forma di una donna incinta come paesaggi mortiferi, inospitali e indifferenti alla tragedia, gli squarti fisici, gli smembramenti, il gabbiano ferito.
Se il piano della storia, con i suoi esistenti, non bastasse a richiamare l’attenzione su un’opera sì di facile lettura, ma proprio per questo più divertente e godibile, c’è anche il piano del discorso in cui Collet-Serra sfodera la sua abilità ritmica e selezionatrice, montando e orchestrando le immagini in modo impeccabile. Le immagini in GoPro, fastidiose altrove, qui aiutano a immergersi totalmente nella vicenda e nella tensione palpitante dei vari personaggi. Le riprese subacquee, quelle a pelo d’acqua, quelle a piombo, i tagli, le inquadrature, le profondità di campo, la fotografia smaccata e satura di colorazioni vive e forti come fredde e umbratili, la concezione iconica dell’immagine fine a se stessa, se altrove diventano zavorre del discorso filmico finendo per inaridire le strutture narrativa dello shark movie o di un animal attack movie qualsiasi, in mano a Collet-Serra sanno essere contenute ed efficaci…

Paradise Beach – Dentro l’incubo riesce a compensare il suo scarso interesse per le possibilità splatter con un perfetto dinamismo visivo e un ritmo serratissimo, capaci di mantenere lo sguardo sempre in tensione. Allora, se anche non riusciamo a smettere di chiederci quale sia il bisogno del furioso girare in tondo dello squalo che imprigiona Blake Lively nel terreno angusto di uno scoglio e, poi, in equilibrio precario su una boa, al film Jaume Collet-Serra va quantomeno riconosciuto il merito di non avere alcuna altra ambizione se non quella, ampiamente riuscita, del puro intrattenimento.

il vero punto debole di Paradise Beach non è rintracciabile né nelle discese nel ridicolo e neppure nella raffazzonata sceneggiatura (che pure non si lascia sfuggire le occasioni per mettere in mostra le proprie debolezze, come nella sottotrama che vede il gabbiano ribattezzato Steven Seagull unico “amico” della bionda surfista, per di più in grado di riparagli l’ala ferita), quanto nella pressoché totale mancanza di ritmo. Per superare lo scoglio – è proprio il caso di dirlo – dell’isolamento di un personaggio in un luogo angusto come il cucuzzolo di un masso sperduto nell’oceano, Collet-Serra può solo ricorrere a uno schema ripetuto all’infinito, quello dei tentativi infruttuosi della giovane di evitare le fameliche attenzioni dello squalo, intervallato di quando in quando da qualche umano sprovveduto usato come carne da macello per risvegliare gli istinti sanguinari del pubblico. La computer grafica ovviamente impera, e non è neanche sfruttata nel modo migliore, e la tensione è sotto i livelli di guardia.
A questo si aggiunge un finale che travalica il buon senso trasformando Nancy in una superoina imbattibile, che trascina lo spettatore verso una risata incontrollata, e screziata di isteria. Senza contare la possibilità di leggere il film come un monito verso il pubblico statunitense, in attesa delle elezioni presidenziali di novembre: rimanete a nuotare nelle calme e pacifiche acque di casa nostra, e lasciate perdere le pericolose acque messicane. Facezie a parte, resta l’occasione per godere del fisico in bikini della Lively, ma è davvero troppo poco; anche perché viene davvero naturale tifare per lo squalo…

da qui

Nessun commento:

Posta un commento