giovedì 23 aprile 2015

Ararat – Atom Egoyan

nel 2002 Atom Egoyan, canadese di origini armene, dirige “Ararat”, un film ad incastri su un film diretto da un regista di nome Edward Saroyan, interpretato da Charles Aznavour.
è un film che non convince del tutto, e che allo stesso tempo merita di essere visto.
c’è l’urgenza di raccontare una pagina non pacificata, di ricordare, di testimoniare.
e all’inizio del film il regista Saroyan taglia un melograno, sarà una citazione del film di Parajanov? - Ismaele




 La force du film consiste à donner à voir sur l’écran les effets du génocide des Arméniens et de son absence de reconnaissance. Le " film dans le film ", cetArarat dont des mouvements de caméra soulignent toujours qu’il n’est qu’un film en s’arrêtant, après chaque prise, sur les techniciens et la caméra qui la filment – est ici le catalyseur de ces multiples effets. Ce qui en est fait, ce qui se dit autour de ce film imaginaire, représente, dans le film d’Egoyan, la difficulté politique qu’a ce film réel à se faire, à se dire, et à être perçu.

Egoyan is one of Canada's best and most respected directors. He and his wife, the actress Arsinee Khanjian, are Canadians of Armenian descent. When he told his children of the massacre, he has said in interviews, they wanted to know if Turkey had ever apologized. His answer is contained in "Ararat." Unfortunately, it is couched in such a needlessly confusing film that most people will leave the theater impressed, not by the crime, but by the film's difficulty. Egoyan's work often elegantly considers various levels of reality and uses shifting points of view, but here he has constructed a film so labyrinthine that it defeats his larger purpose….

Ararat non è un film riuscito, è un film importante, per molti motivi, ma vederlo significa assistere alla messa in scena di un fallimento.
Eppure…
Eppure ciò che colpisce in quest’opera a tratti ridondante è la profonda, la commovente autocoscienza del suo autore, l’onestà della sua resa di fronte a ciò che non può esprimere.
Onestà nell’esporre senza compiacimenti la propria malinconica perplessità sotto il peso della Storia, di fronte al dolore: quello privato e quello condiviso che si confondono l’uno nell’altro.
Del resto tutto il cinema di Egoyan si regge sul paradosso di raccontare, attraverso le (belle) immagini, l’impotenza delle immagini stesse a farsi portatrici di verità.
Il regista sa che non potrà rappresentare l’irrappresentabile, che non potrà produrre le prove dello sterminio, le evidenze del dolore, e risolverle in una liberatoria quanto artificiosa commozione.
Alla fine del film il pittore Arshile Gorky, esule armeno morto suicida nel 1948, è di fronte al dipinto che lo ritrae bambino accanto alla madre, ricordo di una foto scattata pochi giorni prima della strage. L’opera è compiuta, ma l’ultimo gesto di Gorky cancella le mani materne. In questa incompiutezza voluta come necessaria sta forse il senso ultimo di un film che non convince e che non si riesce a dimenticare.


2 commenti:

  1. è un peccato che Egoyan si sia un po' perso per strada, i suoi primi 4-5 film mi avevano entusiasmato... è un peccato anche per via dell'argomento, che è importante (anche perché Egoyan è figlio di armeni, così come la sua bellissima moglie). (qualcosa di Egoyan lo trovi anche da me)

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    1. i due film del tuo blog mi mancano, vedrò di recuperare:)

      da poco ho letto "Il dolce domani" (http://stanlec.blogspot.it/2015/04/il-dolce-domani-russell-banks.html), gran libro, cercherò il film.

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