giovedì 5 giugno 2014

Code Blue - Urszula Antoniak

dopo il bellissimo "Nothing personal" (qui), Urszula Antoniak gira un altro film di silenzi, cone protagonista una donna.
quasi mancano i dialoghi, i rapporti umani non sono mai sereni, per Marian, e forse per tutti, inquietante la scena al supermercato, tutto è pulito, asettico, morire e vivere non sembrano molto diversi, non c'è futuro, non si vedono bambini, o giovani, l'amore non c'è, solo sesso violento e tristissimo, non c'è via d'uscita.
un film terribile, e però importante da vedere, girato con grande bravura della registe e di Marian.
non per tutti, a tratti insostenibile, si soffre, e però è cinema che vale, non si fa dimenticare - Ismaele






Code blue, al pari di un film di Haneke, richiede una sensibilità particolare, che sfugga l'apparente sadismo della regista e riconduca la vicenda narrata a qualcosa di ben più profondo e intimo come tra l'altro sono gli elementi (vita, morte, sesso) sui quali la stessa s'impernia: Marian, infermiera che assiste i malati terminali e pratica su di essi l'eutanasia (un cosiddetto angelo della morte), conduce un'esistenza transeunte, quasi astratta, tant'è che la sola vita che vede e con cui ha rapporti è quella dei suoi pazienti, ormai ridotti a fantasmi o involucri, mentre invece con le persone reali, vive o destinate perlomeno a vivere per un discreto periodo di tempo, Marian ha un rapporto voyeuristico, distante e distaccato, che esiste nel proprio non porsi...


La Antoniak, dopo il sorprendente esordio di Nothing Personal, riprende il tema dell'incontro tra sconosciuti, tra due solitudini, già presente nel primo film. Code Blue è una pellicola forte e disturbante, ma a suo modo delicata, quasi dolce e perversa insieme. Si sente la mano solida di una brava regista che si avvia a diventare una vera autrice, componendo immagini molto curate ma al servizio della storia e abolendo qualsiasi vezzo stilistico. Amore e morte, qui in ordine inverso, sono temi molto sfruttati che la Antoniak riesce a rielaborare senza cadere nel luogo comune, senza giudicare la protagonista…

La camera scivola lungo i corridoi artificiali di un ospedale, segue rumori notturni che conducono agli ultimi respiri dei malati. Marian (Bien de Moor) è un’infermiera di mezz’età, corporatura ostentamente esile e modi aggraziati, con uno sguardo scuro e pertanto affascinante. Si muove tra inermi ombre febbrili, che scompariranno ancora prima che arrivi l’alba.
C’è un buio rigoroso, solo a volte illuminato da fredde lampade alogene, che ricorre per tutto il film. Il chiarore del giorno, quando c’è, viene nascosto da uno spesso tessuto nero, capace di sorvegliare il riposo di Marian, dai tratti funerei, dopo il turno di notte.
La luce, magistralmente accudita dalla fotografia di Jasper Wolf, è una realtà ostile, fatta di sensazioni immaginate ma lontane, spiata attraverso una finestra, cercata in un autobus nel leggero sfiorarsi di una folla distratta.
I rapporti umani non sono più possibili, degenerano, sono malati, come gli oggetti appartenuti per un qualche tempo ai pazienti ora defunti, istanti già finiti che hanno la forma di un pettine o di un piccolo specchio, che Marian conserva con cura, maniacale, in un mobile della cucina, spoglia…

è possibile sostenere la visione di questo film che toglie al contatto umano qualsiasi mediazione a partire da quella sentimentale-erotica e ce la riconsegna
come pauroso abisso inesplorato e per cui esplorabile?
è possibile sostenere il peso di essere inutili davanti alla frequentazione giornaliera e diretta
proprio nel momento in cui l’essere umano (che siamo noi stessi) in un lento passaggio e a cui ci eravamo cosi tanto affezionati ci muore davanti?
e quali sguardi quali gesti mettiamo in campo ?
e poi nessun sconto ai viventi se abbiamo sempre a che fare con i morenti;
l’immagine dell’essere è come se fosse proiettata su uno sfondo di un quadro di Magritte;
e poi la figura dell’angelo della morte, l’equilibrio trovato va in pezzi;
e l’occasione che arriva come una coincidenza non incontra la troppa particolarità della differenza.

Voilà un film qui ne ressemble à aucun autre, et qui témoigne d’une sacrée personnalité de cinéaste. La réalisatrice hollandaise Urszula Antoniak avait fait le tour du monde des festivals avec son précédent film Nothing Personal (inédit en France), mais c’est avec cet ovni glacé qu’on la découvre. Et quelle découverte. Code Blue fait du portrait d’une femme solitaire au bord de la folie un captivant mystère à la limite de l’expérimental. La réalisatrice témoigne en effet d’un talent rare pour faire glisser son récit en permanence sur une frontière fantastique, et parvenir à faire vivre un personnage complexe quasiment sans aucun dialogue, construire un véritable récit tout en misant sur une succession d’ellipses et de sous-entendus plutôt que sur le factuel…
da qui

5 commenti:

  1. Altroché se non si fa dimenticare. Io ho una memoria imbarazzante, e però di questa pellicola alcune scene sono rimaste indelebili nella memoria. Ora sono curioso di vedere i futuri lavori della Antoniak.

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    1. in realtà uno è quasi pronto

      http://www.imdb.com/title/tt2352044/?ref_=nm_flmg_dr_1

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  2. Una delle migliori cose viste l'anno scorso. Asettico e perturbante, lascia inevitabilmente il segno. A mio avviso, ancora meglio di Nothing Personal, ma una revisione ad entrambi è comunque d'obbligo.

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    1. sono due film molto diversi, lì c'è avvicinamento e rispetto, qui separazione, solitudine e violenza terribile

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