mercoledì 30 aprile 2014

Onirica – Lech Majewski

un film con immagini davvero belle, da vedere più di una volta per riuscire a catturare almeno un po' di quello che Lech Majewski mostra.
la storia è complessa, Adam ha causato un incidente d'auto nel quale sono morti le due persone più care, e lui è rimasto vivo, e si lascia vivere, con una zia che gli sta dietro, e il mondo che è dolore.
detto questo, resta un film che non si può raccontare, solo da vedere - Ismaele




Majewski è un perfetto Virgilio, prende lo spettatore per mano e lo conduce nella dimensione del protagonista e nella storia recente del suo Paese con leggerezza, fluidità e sobrietà. Ogni immagine è ricca di arte, poesia, musica, ma mai viene eretto un muro tra l’autore e il pubblico. Al contrario, tutti si sentono ben accetti in questo mondo in cui possono scegliere cosa cogliere in base alle proprie chiavi di lettura, alle personali esigenze, alle momentanee voglie, non sentendosi guardati dall’alto in basso.
Il regista ha una cultura immensa, si percepisce sin dalle prime inquadrature, ma è soprattutto una persona attenta: non mette a disagio lo spettatore, né lo allontana. Non ostenta, non insegna, ma accoglie e accompagna. Stimola, induce a osservare i particolari, a ricordare un libro letto o una frase già udita, provoca la riflessione e lo scambio, sempre in una dimensione tranquilla e senza tempo.
Il film parla di vita, morte, eternità, separazione, sofferenza, colpa, religione, filosofia e molto altro, insomma parla dell’uomo e delle sue pene che non sempre implicano il turbamento del suo quieto vivere. “Onirica” è una di quelle opere da vedere e rivedere: non annoia e scorre verso l’epilogo. Forse non è per tutti, ma per molti più di quanto si creda. Se siamo veramente in un’epoca in cui la gente è meno recettiva agli stimoli delle varie forme d’arte, una colta e non supponente (!) sovraesposizione non può che far bene.

stavolta la selva sembra farsi davvero troppo oscura anche per Majewski, che sembra faticare più di altre volte nel restituire un respiro unico e completo al progetto, spesso travolto dalle sue stesse potenzialità: eppure "Onirica" conferma la versatilità e la duttilità di un autore che ha sempre saputo assorbire con intelligenza gli impulsi provenienti dalle sue fonti d’ispirazione e dai suoi oggetti di indagine, lavorando con attenzione ed equilibrio sulla contaminazione delle arti, sulla sovrapposizione di idee e di spunti…

Adam che fa il commesso al supermarket, bizzarramente identificando l’inferno dei nostri giorni con quel regno delle casalinghe disperate, la grassa zia logorroica, al limite della parodia del genere, che sciorina Heidegger e Seneca tra un caffè e l’altro, e intanto va ripetendo al nipotino: “Dimentica Basia, meno male che non sei morto tu, pensa, potevi anche rimanere cieco” e altre amenità del genere, le pagine di un vecchio volume di illustrazioni della Commedia di Gustave Doré che Adam sfoglia e il vento che arriva dalla finestra risfoglia (Griffith e DeMille, a cui pure piaceva molto Doré, evitarono simili esibizioni, però!) la lentezza di sequenze, come quella del ballo nel bosco, che, nell’evocare scenari onirici, citano Fellini a man bassa senza averne la magica genialità, il rimando documentario a disgraziatissime vicende polacche viste dallo schermo di un televisore acceso o dai finestrini di un treno in corsa in un déjà vu almeno centinaia di volte: tutto collabora ad un giudizio di sostanziale non riuscita di un film che, ahimè, aveva alimentato grandi attese!...

In un film che si apre e si chiude in una grande chiesa non è casuale che Adam si rifugi nel tempio laico della modernità e del consumo: il centro commerciale. Così come una grande forza evocativa assume l'aratro tirato da buoi che ne scalza la pavimentazione. Altrettanto stimolante si presenta la lettura quasi apocalittica di una Polonia tormentata da catastrofi così come lo è, sul piano privato ed intimo, il cuore del protagonista. 
Finiscono quindi per risultare quasi ridondanti alcune figure incontrate dal protagonista nei propri sogni o scene come quella della ragazza in bikini. Lascia poi perplessi, su un piano più strettamente socio-politico, la particolare enfasi dedicata alla morte per incidente aereo del presidente polacco, figura molto discussa e sulla cui inumazione nella cattedrale che contiene le spoglie dei padri della patria un Maestro di indubbia forza morale come Wajda avanzò forti dubbi in una lettera aperta. D'altronde però è come se Majewski ci avesse dato un segnale di avvertimento presentandoci un angelo decisamente fisico e quasi ingombrato da delle enormi ali: talvolta il simbolismo può divenire una zavorra in quella che comunque rimane un'interessante prova d'artista.

Diretto dal regista de I colori della passione, e ispirato alla Divina Commedia di Dante questo film di Lech Majewski vanta soprattutto una spiccata componente visiva. Al centro della storia, un personaggio distrutto dalle conseguenze di un incidente, ma anche una riflessione sul dramma vissuto dalla Polonia, nel 2010, con l'incidente aereo nel quale rimasero coinvolti diversi esponenti del governo.

Onirica è un altro film contro la morte, un altro mélo disperato, necessariamente formalista: la tensione che lo muove, e che lo tiene, è quella che si crea tra la caducità dell’uomo e l’eternità dell’arte, tra le domande di uno e le risposte dell’altra, tra la singolarità del presente e gli esempi del passato. Tra le immagini di un tg e quelle di un cinema pittorico, le icone di un supermercato e quelle di una cattedrale. Tra il tragico nonsenso della cronaca (l’alluvione in Polonia del 2010) e i significati universali della poesia, l’involuzione dei simboli e la dimensione sociale. Dialoghi lirici che riecheggiano Guerra e Antonioni, omaggi a Fellini, un cammino audiovisivo di superba maestria compositiva: tableux vivants alla ricerca arrancante di un senso.

Il nuovo film di Lech Majewski conferma la tendenza al visionario del cineasta polacco, così come il tentativo di sfidare le "regole" dello sguardo nel tentativo di trovare delle immagini improntate alla fantasia più sfrenata. In tal senso, nel film, sono due le sequenze che restano più impresse: quella di due buoi che arano il pavimento di un supermercato, svelando la terra che vi è sotto, e quella di una chiesa che dal soffitto viene completamente inondata dall'acqua. "Tra queste due sequenze", - commenta Majewski - "quella che è stata più impegnativa è stata la scena dei buoi. La sequenza della chiesa infatti è diventata molto complicata soprattutto per colpa mia. Ovviamente non abbiamo potuto inondare d'acqua una chiesa, perciò l'abbiamo ricostruita in CGI. Il problema è che quando ho girato la scena non ho usato la giusta apparecchiatura, non ho usato il motion control e non ho preso le misure esatte del punto in cui avevamo piazzato la videocamera all'interno della chiesa. Quindi i tecnici digitali sono dovuti andare sul posto per capire queste cose. Ci sono poi alcuni elementi che è davvero difficile ricostruire al computer e l'acqua è tra questi, perché non ha una forma definita ed è un qualcosa che si muove in modo molto dinamico. Ma ben più complicato è stato girare, come dicevo, la scena dei buoi al supermercato. Il primo ostacolo derivava dal fatto che nessuno voleva permettere che in un supermercato si facesse una cosa del genere, il secondo era legato ai buoi stessi: non vi sono praticamente più buoi in grado di trainare un aratro. Qualcuno mi consigliava di andare in Cina, qualcun altro mi supplicava di usare dei cavalli, poi però alla fine abbiamo trovato un museo del contadino nel sud della Polonia dove, a scopi educativi, esistevano ancora dei buoi addestrati per arare la terra. L'ulteriore problema veniva dal fatto che questi animali, seppur possenti, hanno le ginocchia molto fragili e quindi non li si può spostare con dei mezzi di trasporto. Abbiamo deciso perciò di trasferirci lì con tutta la troupe per girare quella scena. Abbiamo ricostruito in studio il supermercato, perché il pavimento andava messo sopra la terra e i buoi, arandolo, dovevano essere in grado di sfondarlo. Di nuovo, ci siamo bloccati perché il padre del protagonista, che spingeva l'aratro andava troppo piano rispetto ai buoi. Insomma, è stata un'impresa sovrumana. E, alla fine, quando sono riuscito a finire il film, l'ho mostrato a tutti i produttori e uno di loro mi ha detto: 'non dirmi che abbiamo fatto tutto questo casino con i buoi per avere una scena di soli 18 secondi'. [Ride] Ebbene, sì, è così"

…Resta comunque impressa la disperazione composta sul volto di Adam, novello "primo uomo": ribadendo, infatti, la necessita' di non abdicare alla purezza e allo slancio del sentimento come elemento distintivo dell'esperienza umana - in un mondo che appare tanto più desolato quanto più resta sordo a richiami che non siano vincolati alla prepotenza materialista - essa si pone, allo stesso tempo, da esempio di "religione" dell'esistenza e da asciutto monito valido per ognuno di noi, essere umano immerso/abbandonato nella "modernità". Perché l'"etterno dolore" e' qui, ora e siamo noi "la perduta gente". 
da qui



6 commenti:

  1. Grandissimo Majewski! Lo si potrebbe definire l'ultimo dei surrealisti, quelli veri. Ho visto tutto di lui, e merita tutto. Purtroppo, come per molto cinema in uscita nelle sale dovrò aspettare altre vie, colpa della solita distribuzione... :(

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  2. Risposte
    1. @ Frank ViSo e poor Yorick
      mi mancano gli altri, di sicuro sono difficile, richiedono molta attenzione e più di una volta.

      visto che ho una certa età, ed esperienza, mi permetto:

      poor Yorick, ti stai facendo una fama da hooligan dei blog e del cinema, mi spiace che poi i film che vedi tu, e pochi altri (Frank ViSo e io, a volte), i nostri colleghi blogger poi li evitino, temendo di assumere un carattere pooryorickiano.


      un corso di diplomazia sarebbe necessario,

      "Un diplomatico è una persona che sa come mandarti a quel paese in modo che tu non veda l'ora di partire." :)

      dai, più fair play, lo stile è sostanza.

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    2. Come dicevo a ViS domenica scorsa, c'è qualcosa di sbagliato nella blogosfera, e credo che questo si ripercuota anche su giudizi affrettati che vengono dati e fatti. Per tagliare corto: non me ne frega molto se una persona mi reputa un imbecille, non ho aperto un blog per farmi degli amici ma per consigliare film "impersi". Da 'sto punto di vista, non mi interessano neanche le recensioni: non recensisco, segnalo. Penso che recensire un film sia un atto di boria, perché in fondo tu non sei nessuno per credere che a qualcuno freghi qualcosa di quello che pensi tu su x, y o z. E se uno è così coglione da privarsi di uno "Sleep furiously" perché gli sto antipatico, buon per lui, tutto ciò che posso augurargli è di andare a vedere un film di Batman a Denver e poco altro. Purtroppo questa cosa del fascismo delle buone maniere non mi è mai andata giù e, certo, sarò astioso io, ma credo fermamente che avere un blog, per quanto piccolo e poco letto, sia un atto politico, per non dire un gesto umanista, e, insomma, ci sono modi e modi per gestirlo. Purtroppo, il modo usuale di gestire un blog è dissacrante dell'argomento stesso trattato (ci sono blog che mischiano il cinema con la cucina, per dire), perché non è più, per esempio, un parlare di cinema: parli di cinema, sì, ma è come se parlassi di qualunque altra cosa, senza un minimo di cuore o di cervello. Non dico che devi leggere Epstein, dico che dovresti avere più rispetto e allora, forse, io potrò averne per te. Invece le cose non funzionano così: la gente apre un blog e spara minchiate, va a followare a destra e a manca giusto per avere il commentino futile ed è felice finché non arriva quello che, usando modi più o meno opinabili, lo mette in discussione. Ora non mi va di schematizzare la gente (c'è qualcuno che si mette effettivamente in discussione, è successo, mentre ci sono altre che, in modo del tutto fascista, tolgono il diritto di parola, vuoi perché da bambine non hanno avuto la ciuccia, vuoi perché, di fatto, non saprebbero che dire), perché non è neanche questo il fatto: il fatto è di avere intorno un orizzonte che è desolante perché non trovi gente con cui riuscire a parlare di cinema. Vogliono diventare tutti critici (si mettono pure a fare i fottuti box office, cioè siamo al delirio), vogliono avere il loro attimo di gloria senza rendersi conto che i critici sono la morte del cinema - vero, Zappoli?) si mettono pure a fare i fottuti box office. Come scrivevo tempo fa, "Ultimamente, però, i blog si sono dovuti presto cimentare nelle sfide più impensabili, prima tra blogger di etiche e gusti differenti, poi con avversari esterni, più subdoli e insignificanti come le pagine Facebook o i vari Tumblr, dove basta qualche foto, il post di un video e il gioco è fatto. Non si prende più il cinema seriamente, perché sono diventati tutti cinefili. Tutti, tranne i blogger, che ancora trovavi lì a provarle tutte (tra gadget di lettori fissi e visualizzazioni statisticizzate in maniere inquietantemente dettagliate) per essere letti, per far sì che non solo il film venisse visto ma che anche la loro opinione, la loro misera esegesi fosse presa in considerazione e desse il via a una discussione o, più semplicemente, che qualche lettore, più o meno sprovveduto, si sentisse affiliato al blogger; ora nemmeno più questo, perché i blogger hanno iniziato a suicidarsi, a stilare le solite liste, a spersonalizzarsi in agenzie ANSA postando gli incassi del week-end e a lasciare commenti insipidi solo per riceverne di altrettanto insipidi e incrementare così le visite e i commenti del proprio blog: anche noi blogger, purtroppo, siamo diventati cinefili" (http://emergeredelpossibile.blogspot.it/p/che-cose-il-cinema-contemplativo.html).

      In ultimo, hai ragione quando dici che un corso di diplomazia sarebbe necessario, ma sappi che "le azioni del mondo non influenzano il sole..."

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    3. mi viene da pensare che quando avevo la tua età (meno della metà di quelli che ho adesso. e allora non c'era internet, né i blog) avevo un carattere un po' manicheo, quello che mi piaceva era giusto, quello che non mi piaceva era sbagliato.
      poi ho capito (la vecchiaia, la saggezza?) che non tutto quello che non mi piaceva era sbagliato e che le cose non sono solo bianche e nere.
      e con le persone con cui non mi trovo bene, e che non sono obbligato a incontrare, le evito, non perdo tempo a dirgli che mi stanno sulle palle, tempo perso, ci sono tanti bei film da vedere e libri da leggere, tra l'altro.

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