martedì 25 marzo 2014

Cani arrabbiati – Mario Bava

un film sfortunato, uscito solo vent'anni dopo, a causa del fallimento del produttore, ed è anche un film dai tanti titoli, tratto da un racconto di Ellery Queen.
è un film che non ti lascia tranquillo, per tutto il tempo, con una tensione che non lascia respiro, un viaggio in macchina, una fuga che riesce.
dura un'ora e mezza, e ogni minuto è necessario per la costruzione di questo gioiellino, non ti risparmia niente, è un viaggio anche nelle teste e nelle paure dei personaggi.
bravi gli attori, convincenti e terribili, senza speranza, e senza futuro.
e un colpo di scena grandissimo, quando arrivi alla fine.
non sarà perfetto, ma una volta dentro non sfuggi a questo film intenso.
non adatto a chi soffre di claustrofobia, ma per tutti gli altri è da non perdere - Ismaele






Descritto nella stesse note del DVD come "ciò che sarebbe successo se Tarantino avesse rifatto L'ultima casa a sinistra on the road". Mario Bava dimostra, come se non l'avesse gia fatto, il suo talento come regista e Scorsese ammette l'influenza che questa pellicola ha avuto suoi suoi successivi lavori. Tratto da un racconto di Ellery Queen, Cani Arrabbiati è ancor più duro de Le Iene (1992) di Quentin, per rimanere nel parallelismo, ma soprattutto più nichilista dello slasher d'annata Reazione a catena (1971) già crudele nel descrivere la natura umana. Il fatto è che questo film del 1974, "aggiornato al prezzo del denaro", sottolinea la rabbiosa natura dell'uomo in relazione ai soldi; e nessuno viene risparmiato. Ma non è solo questo. Bava gira praticamente tutto il film all'interno di una macchina, ambiente già di per sé claustrofobico, reso maggiormente scomodo dalla presenza di tre soggetti che hanno perso il senso di ciò che è bene e di ciò che è male. Al di fuori di questa macchina che percorre lunghi tratti di autostrada, impregnata com'è di sudore, morte, violenza e confusione, si estende al di fuori un territorio italico desolato e quasi desertico che fa da contraltare al caos dell'automezzo. Per una trama che non è complessa né, in sé, avvincente, Bava rinucia ai suoi noti lezzi stilistici che lo hanno reso famoso (e mi riferisco soprattutto all'uso dei colori); Cani Arrabbiati piuttosto si concede immagini weird come il parallelismo fra la confusione mentale di Bisturi (Aldo Caponi aka Don Backy) e la biglia di un flipper che sbatte a destra e a manca. Tutti gli attori fanno un egregio lavoro: sbalorditivo il ruolo sadico del sopracitatao Don Backy più noto alle folle per le sue canzoni. Montefiori, omone di 2 metri e 6 passato alla storia per la sua interpretazione del folle cannibale in Antropophagus (1980) nel film è un maniaco sessuale soprannominato 32 per la lunghezza del suo pene. Il più compassato e gelidamente razionale è "Il Dottore" interpretato da Maurice Poli (5 bambole per la luna d'agosto, 1970; Gli orrori del castello di Norimberga, 1972), versione del criminale affascinante. Eccellente la Lander che nel ruolo di Maria, un ostaggio a caso, riesce a convincere pienamente recitando la parte della donna sull'orlo di una crisi di nervi. Cucciolla, bella voce della tv di un tempo, è un perfetto ostaggio che si rivelerà il nucleo cinico dell'opera baviana. Pervaso da scene violente, che vanno da stupri a sevizie ad omicidi, adrenalinico nonostante l'ambiente geometricamente limitato, Cani Arrabbiati si fa perdonare quelle piccole cadute di stile proprie dei film dell'epoca, incentrate poi essenzialmente nei soliti messaggi pubblicitari occulti (J&B, FernetBranca e Pejo), e forse anche in una vis recitativa a volte eccessiva o in dialoghi non sempre brillanti. Ma quando i 6 imbarcano l'autostoppista che non la finisce mai di parlare anche lo spettatore rimane col fiato sospeso in preda ad un'incredibile tensione immerso in un'atmosfera irreale come se ci fosse anche lui in quella macchina. La musica di Stelvio Cipriani coglie nel segno e accompagna "paicevolmente" questa pellicola che inizia come un semplice poliziottesco e si conclude con la forza di un macigno sulla testa dello spettatore in atmosfera da "pessimismo cosmico". Ma anche senza il finalone sarebbe stato un bel film. Da vedere e da acquistare, se lo trovate.

Cani arrabbiati è uno dei pochi film non-horror girati dal Maestro, ma è indispensabile sottolineare come la sua cupezza ed il nichilismo che permea tutta la pellicola lo rende in tutto e per tutto un film dell’orrore umano, spesso più spaventoso di vampiri e fantasmi. Il film contiene scene molto più dure di decine e decine di scene splatter/gore, quali l’improvviso omicidio della ragazza bionda presa come ostaggio o quello dell’autostoppista, ma ancora di più la sequenza in cui Trentadue e Bisturi umiliano Maria costringendola ad urinare stando in piedi davanti a loro, tra le sue lacrime e le loro risate. Il beffardo finale dell’opera, poi, è la cosiddetta ciliegina sulla torta nonché il vero culmine ideologico del film, esprimendo al massimo la concezione pessimistica di Bava nella natura umana

… Da un punto di vista un po' più psicanalitico, l'opera di Bava sembra voler porre la questione della morte su un versante particolare, molto astratto, tanto da farla divenire una sorta di ricordo-simbolo inaspettato, traumatico, per abitudine normalmente rimosso, un brusco richiamo alla sua esistenza più enigmatica capace all'improvviso di perforare la crosta del reale seminando terrore e sgomento, tutto ciò legandosi brutalmente a un evento fortuito giornaliero, negativo, come la rapina alla piccola azienda di Roma che coinvolge nel tragico numerose persone.
E' come dire che il fantasma della morte, inteso come minaccia di castrazione della sessualità presente nella vita quotidiana, sublimata in una forma segnata, a causa degli effetti della civiltà, dall'impossibilità del godimento pieno (quella sublimazione cioè che si vive più su un versante di soddisfazione che di piacere, nella vita anche ordinaria), si riattiva, aprendo in una sorta di verticalità profonda l'inconscio più ostico a mostrarsi.
L'effetto spettacolo e drammaturgico che ne deriva è legato alla riattivazione attraverso il visivo di istanze inconsce vicine alla sfera primaria. Si crea in sostanza una struttura psichica nuova, originale, ma provvisoria, in cui la minaccia di morte apre l'inconscio verso la sensibilizzazione del trauma iniziale della nascita costringendo la vittima ad entrare in un mondo onirico di sogni che accompagna il suo rapporto con il carnefice fino alla soluzione finale.
Una struttura onirico-sognante che fa entrare lo spettatore in un suo mondo più interiore costringendolo a regressioni di forte valenza artistica perché legate all'immaginario nostalgico-vivo più che al reale razionalizzato-mortificante la pulsione.
Il film può essere quindi visto come una magica chiave di apertura dell'inconscio dello spettatore che ha l'occasione di sperimentare sensazioni prima sconosciute, che in un primo momento appaiono stranianti perché frutto di un rimosso che apre delle brecce oniriche per poi assumere forme di conoscenza di sé sempre più in relazione con il piacere del sogno diurno, cioè di un sintomo nuovo che dura lo spazio e il tempo del film.
Mario Bava riapre con questo film la questione del godimento sadico nel cinema, un tema caro anche al geniale Tarantino e che tanto spaventa le istituzioni pedagogiche di ogni credo e cappella culturale, una questione che si apre in realtà, con la psicoanalisi, come un sapiente libro, mostrando dell'altro, svelando strutture psichiche complesse in diretta relazione con un vissuto che aspira ad essere rielaborato culturalmente se solo gli si dà l'occasione: ad esempio attraverso progetti mediatici intelligenti che possono scaturire dal cinema stesso quando è preso in un dibattito.
da qui

2 commenti:

  1. Io sono un pò claustrofobico, ma l'ho sopportato comunque bene :D
    Hai ragione, sfortunato, e un altro aspetto interessante è che ci troviamo di fronte al film di Bava forse più inedito rispetto alle storie che era solito proporci ("Reazione a Catena" è certamente il film che più si avvicina a questo). Inoltre era terribilmente avanti per i tempi, pensiamo al cosiddetto "pulp" in voga poi nei '90...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Tarantino ci va a nozze, e noi guardiamo i suoi film, con ragione (anche se non sempre), peccato ci dimentichiamo da dove vengono (come quelli che pronunciano le parole latine come se fossero inglesi)

      Elimina