domenica 23 febbraio 2014

12 anni schiavo - Steve McQueen

discesa all'inferno e ritorno, alla fine, dopo 12 anni di schiavitù.
milioni di altri non hanno avuto un destino simile, né mai lo avranno, senza nome.
Salomon è una persona buona e ingenua, che per dodici anni deve sopravvivere, nelle mani di gentaglia da galera, con padroni "buoni", e altri psicopatici.
non c'è un momento di ironia o di pace, nei film di Steve McQueen, chi vede il film non ha momenti in cui il dolore e la sofferenza si dimentica o si affievolisce, in questo senso non è un film per tutti, e però è terribilmente necessario. 
se c'è un film al quale si può associare, non è "Django unchained", film bellissimo, ma ironico, spesso, e dove si gioca, e ci si diverte; "Schindler's list" è il parente più prossimo, entrambi sono film sull'olocausto, solo che quello dei neri è durato molto di più, il padrone Michael Fassbender e il comandante del lager Ralph Finnies, con assoluto e indiscusso potere di vita e di morte, sono due figli di uno stesso padre, che forse sta nella Bibbia che insegna e ordina la sottomissione.
è assolutamente d'attualità il fatto che Salomon si salvi per un pezzo di carta che uno sceriffo sventola al padrone, tutti gli altri sono sans papier e continueranno, con assoluta normalità, a fare gli schiavi, la chiesa benedice e le leggi sembrano immutabili.
Chiwetel Ejiofor (Solomon), Michael Fassbender (Edwin Epps) e Lupita Nyong'o (Patsey) sono più che straordinari, ciascuno di loro, da solo, vale la visione del film, imperdibile, senza se e senza ma - Ismaele 







Il film di Steve McQueen ha il merito di gettare luce non solo su un'incredibile vicenda umana ingiustamente dimenticata, ma anche su un'altra pagina poco edificante della storia degli Stati Uniti, la tratta di uomini liberi. "12 Anni Schiavo" è la storia di un solo uomo, costretto a lottare per riprendersi ciò che gli spetta; è un film sulla speranza e sulla capacità di alcuni uomini di non cedere alla disperazione. Non è il tipico film di denuncia sulla condizione degli schiavi o l'ennesima riflessione autocritica sulla storia americana. Per tornare a casa, Northup deve accettare le regole dello schiavismo, ripensare i propri codici morali, scendere a terribili compromessi. McQueen ci mostra in alcune, toccanti sequenze, la discesa negli inferi di Northup…

Il risultato è eccellente, ma nel contempo si sente la mancanza dello Steve McQueen degli inizi, quando “per fare un film, bastava farlo” e non c’erano i soldi di Brad Pitt che spingevano a scritturarlo nelle vesti del canadese antischiavista, con la barba da mennonita (qualsiasi commento è superfluo…). Nonostante i limiti creativi e l’ansia da prestazione, 12 Years A Slave riesce comunque a tenere insieme i pezzi, raccontando con onestà una pagina oscura e in gran parte ancora inesplorata della storia americana e riuscendo nel contempo a dire qualcosa sul significato della perdita della libertà individuale. Ritroviamo infatti il talento del McQueen delle origini nelle scene iniziali di rapimento e tortura: una delle più potenti rappresentazioni visive del concetto di annichilimento, da cui sembra impossibile potersi riprendere – e il lieto fine del ritorno a casa di Solomon conferma quest’impressione, lasciando allo spettatore l’amaro in bocca e il difficile compito di riflettere su quanto ha appena visto. Per questo soprattutto, e non per altri motivi “necessari”, 12 Years A Slave è un grande film.

…Fortunatamente, il regista inglese lascia qualche frammento di bravura e di autorialità raffinata in questa torta preconfezionata, quasi a lasciare il segno in un’opera forse non propriamente sua (è la nostra unica speranza). La sequenza da brivido della “semi-impiccagione” ricorda i momenti migliori di Hunger: intensità dell’azione, freddezza nel mostrarla e durata infinita. Due scagnozzi (uno dei quali è il redivivo Paul Dano) dello schiavista di turno, tentano d’impiccare Solomon, ma sono fermati a tempo da un terzo individuo che salva “parzialmente” il protagonista. Parzialmente, perché lo lascia comunque appeso all’albero con le sole punte dei piedi a terra, in un equilibrio precario fra la vita e la morte. Perché questa sequenza è così importante a livello cinematografico? A livello estetico e sul piano simbolico trafiggono lo spettatore, lasciandolo con un ricordo struggente. L’inquadratura è fissa e in campo totale. La visione, per il fruitore, è forse leggermente più ampia che su un palcoscenico teatrale. Solomon, circa al centro dell’inquadratura, agonizza fra la vita e la morte soffocato dai suoi stessi rantoli. Egli non si trova in primo piano, ma più in profondità; tracciando una linea immaginaria, possiamo dire che il protagonista si situa à metà fra l’occhio dello spettatore e l’orizzonte. Ora, perché Steve McQueen decide di mostrare la sofferenza in campo lungo e non in primissimo piano? Ciò che gli interessa è ciò che ruota intorno a Solomon e non il suo volto…
Era dai tempi di "Schindler's List" che un film non mi sconvolgeva e mi turbava in tale maniera, ve lo giuro, sono uscito dalla sala, non dico con gli occhi lucidi, ma poco ci mancava e lo dico io che solitamente ho lo stomaco di ferro e reggo qualunque visione, ma questo bellissimo film di Steve McQueen (regista da tenere assolutamente d'occhio perché ha talento da vendere) mi ha veramente devastato.
Vedere questo film è un esperienza davvero scioccante, il dolore e la rabbia che si provano durante la visione, sono indicibili, alcune scene ti restano dentro, ancora ho in testa e nelle mie orecchie le grida di dolore, terrore e disperazione della ragazzina che viene quasi frustata a morte e sono certo che chiunque, quando vedrà il film, avrà quelle grida in testa per un bel pezzo…

12 años de esclavitud no es una cinta complaciente. No está hecha para gustar a todo tipo de público, aunque no creo que nadie vaya a poner en duda su calidad. Escocerá especialmente en Estados Unidos, un país que lleva décadas queriendo olvidarse del tema, a pesar de que aún hay mucha gente que recuerda que, no hace demasiados años, una mujer negra fue encarcelada por negarse a ceder su asiento del autobús a un blanco. Precisamente por ese tipo de actitud, que considera casi un pecado utilizar una palabra que ellos mismos acuñaron (me refiero, claro está, a la tan temida “nigger”), que pretende enterrar un pasado de atrocidades en el olvido, 12 años de esclavitud es una película terriblemente necesaria. Porque siguen —y seguirán— haciendo falta cineastas que nos cuenten aquello que no queremos oír. Bravo, Mr. McQueen.

…Ne esce fuori un film stereotipato e semplicistico, dove tutti i 'buoni' (i neri) sono carne da macello e tutti i 'cattivi' (i bianchi) sono spietati assassini livorosi e assetati di sangue, oltre che mentalmente instabili e perfino sessualmente repressi...

…Todas y cada una de las facetas técnicas que componen “12 Años de Esclavitud” resultan brillantes (como poco). Desde su exquisita escenografía, pasando por su formidable diseño de vestuario, su notable fotografía, o su prodigioso trabajo de maquillaje. Es por ello natural que la película se vaya abriendo hueco entre los reconocimientos cinematográficos más importantes y, por supuesto, entre los compungidos corazones de sus espectadores.
“12 Años de Esclavitud” es un exquisito viaje por las pútridas entrañas del racismo, la crueldad y la opresión. Un homenaje a quien no se somete a su inmerecida desgracia. Un descorazonador retrato de la siempre decadente condición humana. Una cinta dura, explícita, constructiva, necesaria; absolutamente imprescindible.

…Car c’est bel et bien cette esthétisation du malheur qui constitue la principale tare de 12 Years a Slave. Du premier plan mettant en scène les esclaves comme sur un tableau, attendant leurs ordres devant un champ de maïs et sous un ciel hypnotisant de beauté, à cette longue séquence montrant le héros tentant de rester en vie pendu à un arbre et tâtant le sol boueux de la pointe des pieds, le film accumule les belles images de choses atroces, jusqu’à atteindre le nauséabond avec une séance de fouet filmée sans recul et donnée comme un climax narratif. Parmi tous ces choix éthiquement discutable, le plus indigne reste l’utilisation d’une musique soulignant de manière redondante des situations qui devraient rester vierges de tout effet de style.

…La realización de McQueen tiene momentos brillantes, pero también otros de claro bajón expresivo. Para su entrada en Hollywood con este film espectacular ha recurrido al lenguaje clásico del cine producido en California. Sólo en algunos planos, abiertamente barrocos en su composición y duración (¿homenaje a los planos-secuencia?), apunta detalles de continuidad con Hunger o Shame en un deseo de poner firma autoral a un film con el estilo de «los grandes estudios». La elección de Michael Fassbender para interpretar al villano alcohólico, al amo más déspota y voluble de esta historia, resulta también congruente con eso de dejar su impronta por doquier. No cabe duda que buena parte del éxito del film se debe a la convincente interpretación del actor británico Chiwetel Ejiofor, de ascendencia nigeriana, que trasmite con vigor el inicial desconcierto de un hombre de repente reducido a la condición de esclavo y, luego, la interior rebeldía que mantiene encendido un fuego irreductible en sus ojos. Otras joyas del reparto son Benedict Cumberbatch, como el amo Ford, y Lupita Nyong'o que resulta conmovedora en su fragilidad como cabeza de turco de todas las veleidades del inestable Edwin.
Hay que recordar también que la instrucción religiosa en el cristianismo, impartida por sus amos a los esclavos, resulta indignante porque se utilizó para fomentar la resignación y la pasividad en quienes se habían visto privados de la más mínima libertad para disponer de sí mismos. Una práctica aberrante que avergüenza a las Iglesias que toleraron semejante manipulación de la fe cristiana para «bendecir» una esclavitud que está en las antípodas del Evangelio.

…McQueen nos lleva con una narrativa perfecta y al servicio de la historia por una violencia que no da respiro al espectador, igual que la desgracia no da respiro a sus protagonistas, una vida imposible de imaginar, un recorrido por la maldad y la brutalidad al que da vergüenza mirar. Una película imprescindible.

…Quizás lo primero que me veo obligado a destacar es que estamos ante una película absolutamente imprescindible, con unas interpretaciones exquisitas, pero que no se disfruta. Se sufre, y así debe ser. Es una historia humana, sin más pretensión que hacernos posar la mirada en un suceso histórico cuyos ecos siguen resonando en la actualidad. Y es a través de los ojos de Solomon Northup y su mirada sobrecogedora que sentimos vergüenza y tomamos conciencia de lo bajo que puede llegar a caer el ser humano cuando la ignorancia, los prejuicios y el odio se abren paso en una sociedad...

Probablemente, uno de los asuntos más interesantes a discutir sobre esta cinta sea cuántos metros se movió el cine de Steve McQueen. ¿Dejó una parte de sus convicciones? ¿Las suavizó? ¿Se acomodó en la industria? Ninguna respuesta es muy simple, pero podemos decir preliminarmente que el director no abandona sus principios. Puede desconcertar que haya recibido total desprecio anteriormente y ahora sea acogido con los brazos abiertos por la Academia, pero eso debe ser leído más como una inédita apertura de estos caprichosos premios hacia un cine desgarrador, que al ablandamiento de un director que ha labrado una mirada feroz. Lo que sí, McQueen no pierde de vista que está tratando con un tema delicado de la historia norteamericana y, además, con hechos que sucedieron realmente. Aún con una narrativa más clásica, no deja de golpear duro y hacer de su filme una experiencia difícil de digerir…

…El ritmo que McQueen imprime pasa del brío inicial a una mayor quietud ─con la entrada en escena de Michael Fassbender, inolvidable fanático que disfruta aquí de su propia película─ que puede trabar el ánimo de algunos espectadores, pero que serán los menos; igual que serán los menos quienes vean en la pulcritud técnica de “12 años de esclavitud” una excesiva tendencia a la conmoción y el abuso. Porque solamente con pararse a pensar lo que se está contemplando se le quitan a uno las ganas de pertenecer a esta especie que se supone reina de la evolución. El hombre es un lobo para el hombre. Lo era en la América de mediados del siglo XIX, lo es en el día a día en todo el globo. Y así lo seguirá siendo.

12 Years, A Slave est en ce sens un film bouleversant. Non parce qu’il met en scène l’horreur de l’esclavage – ce qu’il fait évidemment – mais parce qu’il ne cesse de questionner le fonctionnement même des différents mécanismes d’asservissement, tenant de comprendre, sans faux-semblant, ce terrible processus conduisant un homme à s’annihiler soi-même. Bien plus proche du Surveiller et Punir de Foucault que de Spike Lee ou de Quentin Tarantino, le cinéaste britannique y détaille en effet avec la précision glaçante d’un entomologiste humain ce qui fait, ou non, qu’un homme est libre. Ce qu’il doit accepter de perdre (son corps, son nom, sa dignité) pour garder l’essentiel. Ce qu’il peut faire pour résister alors que les coups et les humiliations pleuvent, le dépouillant peu à peu, mais radicalement, systématiquement, de toute humanité…

…Sans jamais nous prendre au piège, Steve McQueen joue avec nos sensations et nous confronte sans détour mais avec une étonnante pudeur à l’horreur et à l’effroi vécus par Solomon et par ses congénères. Plus encore il parvient à tendre à une cruelle analogie entre la réalité mise en scène et l’esclavagisme moderne : quelle belle prospérité que de s’enrichir sur le travail et la survivance d’autrui – et quelle luminosité que celle de l’endoctrinement religieux.
Fin artisan et habile chef d’orchestre, fort de se réinventer, Steve McQueen est un virtuose de la mise en scène tant il soigne chaque détail. La photographie du film est tout à la fois sensible et impressionniste alors que le montage est père de contrastes saisissants. Il exacerbe ainsi à dessein notre ressenti en jonglant entre les hypothèses visuelles et sonores. Magistral.
Plus encore, et comme dans HUNGER et SHAME, il dirige avec brio des comédiens au meilleur de leur art. Alors que le moindre rôle est interprété avec une force et une véracité déstabilisantes, Chiwetel Ejiofor, Lupita Nyong’o et Michael Fassbender y sont prodigieux.
da qui

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