domenica 29 settembre 2013

Miguel - Salvatore Mereu



un film (del 1999) quasi sconosciuto, e però eccezionale.
figlio diretto di "Scarabea" (qui), per qualche alchimia strana, "Miguel" è un film sfuggito al regista, come "Arcipelaghi", di Giovanni Columbu (qui), il film è più importante di quanto pensasse il regista quando lo girava.
difficile da trovare, ma gli sforzi verranno ripagati - Ismaele

Ps: ho come l'idea che sarebbe piaciuto molto a quella grande testa pensante di Michelangelo Pira (che ci manca, cavolo che ci manca uno così)





…i due elementi portanti del film e che ne garantiscono la riuscita: la capacità dei pastori di mostrarsi fuori dagli stereotipi e il finale in cui gli stessi prendono possesso del mezzo di comunicazione filmica, la cinepresa, e quindi prendono in mano la propria immagine. La favola di Mereu, come ogni favola, non sfugge alla moltiplicazione delle chiavi di lettura. La metafora cannibale per esempio è intimamente legata, concettualmente, alla sostituzione registica. Mereu si è lasciato prendere la mano, fortunatamente, da questi formidabili attori che presentando se stessi sono ri-usciti dalla loro maschera fossile con l’irriverenza tipica dell’autoironia. Il tono grottesco, deformante, serve ad accentuare linee di senso che non appartengono alla banalizzazione del messaggio. Mangiare Miguel non è segno di un rifiuto dell’alterità quanto semmai un prendersi carico direttamente, senza intermediari, della propria immagine e del proprio essere. “Miguel” si impone del resto proprio per la sua natura profondamente cinematografica, anche quando il cinema-cinema sconfina in echi kusturichiani, come allude la colonna sonora, che rinuncia alla riproposizione di un canto a tenore a favore di una musica significativamente nomade…

Vende scarpe per vacche e capre ai pastori della Barbagia promettendo che faranno più latte. Una storia stralunata, nella quale rimbalzano certi echi di Citti, ma anche certe uscite strampalate del primo Herzog. Mereu ci prova con la favola umoristico-grottesca, ma si perde nel naturalismo di facce pasoliniane e in un ritmo slabbrato, fino all’approdo metacinematografico che aggiunge inutile carne al fuoco. Spunti carini qua e là, ma l’impressione è di una vena surreale che non sta proprio nelle corde del suo autore.

Nessun commento:

Posta un commento