lunedì 26 agosto 2013

Jenin Jenin - Muhammad Bakri



Jenin Jenin, il documentario del regista arabo-israeliano Mohammad Bakri, viene proiettato informalmente in tutta Italia. Noi l'abbiamo visto al 13° Festival del cinema africano di Milano, dove è sbarcato dopo aver stravinto il Festival di Cartagine. Inutile dire che Israele l'ha censurato e che nessuna tv del mondo arabo, a parte la libanese Future, l'ha acquistato. 
"Come faranno mai gli israeliani a rimediare a tutto questo?" Si chiede un giovane palestinese, mentre si aggira fra le rovine del campo profughi di Jenin (Cisgiordania), teatro di un intervento militare israeliano senza precedenti che si è protratto per undici giorni - dal 2 al 19 aprile 2002 - e ha lasciato almeno 600 morti sul campo (ma nessuna commissione d'inchiesta nazionale o internazionale è stata mai autorizzata). "Ci ammazzano i figli e noi ne facciamo altri: c'è sempre un modo per porre rimedio.. Sono loro i perdenti, davvero". Chi parla, è uno dei protagonisti del documentario Jenin Jenin di Mohammad Bakri, cineasta palestinese con passaporto israeliano. Lo abbiamo visto al 13° Festival del cinema africano di Milano, nella versione integrale di 54 minuti: cioè compresa la testimonianza della dodicenne - istigata fin da piccola alla vendetta, forse obbligata a diventare in un futuro non lontano una kamikaze - censurata dalla tv franco-tedesca Arté (l'unica in Europa ad averlo acquistato). 
Informalmente, quest'opera sta però girando l'Italia fra proiezioni negli oratori e serate organizzate da associazioni varie, mentre i canali televisivi pubblici hanno poco professionalmente declinato l'invito. 
Poco importa. L'autore - nato nel '53 ad al-Bina, in Galilea, sposato con cinque figli - è quasi abituato alla censura: il suo documentario d'esordio, nel 1995, col digitale 1948 (53'), sulla Nakba, la "catastrofe palestinese", non è mai stato mostrato in tv; eppure in tantissimi l'hanno visto. 
Sulla stessa scia, Jenin Jenin è stato censurato in Israele; nessuna tv del mondo arabo, a parte la libanese Future, l'ha comprato; ciò nonostante il film ha vinto il festival di Cartagine 2003. Un grande riconoscimento per un regista che è stato addirittura arrestato, assieme a sei membri della sua famiglia - nel villaggio di Bina in Galilea, dove essi vivono - con l'accusa di aver collaborato nella preparazione e nell'esecuzione di un attentato kamikaze contro un bus israeliano (come ha scritto su Ha'aretz del 27 agosto il giornalista Uri Ash). Tanto per intimidire ogni possibile dissenso. 
Questa battente campagna denigratoria, in patria, ha al contrario contribuito a pubblicizzarlo ovunque. 
È un film di parte ("one side movie", dice infatti il sottotitolo), obiettano alcuni. Ma finché le risoluzioni delle Nazioni Unite riguardo al Medio Oriente - ovvero la 242 del 22 novembre 1967, la 338 del 22 ottobre 1973, la 1397 del 12 marzo 2002, la 1402 del 30 marzo 2002 - e i principi di Madrid non saranno rispettati dal governo israeliano, forse non è possibile fare diversamente. Jenin Jenin va comunque visto. Perché aiuta a capire…

Nessun commento:

Posta un commento