lunedì 25 marzo 2013

Barbara (La scelta di Barbara) - Christian Petzold

la prima parte è lentissima, poi il film prende quota.
il regista non dice niente più del necessario, e il film è un crescendo fino alla decisione finale.
non è un film che estusiasma, ma si vede bene, fatto di particolari, che arricchiscono la storia, come se si aggiungesse, come nelle costruzioni Lego, un pezzo dopo l'altro per fare una costruzione compiuta.
bravissima Nina Hoss, e bravo Petzold, che ha fatto altri film almeno altrettanto meritevoli.
un problema è che  tutti i personaggi sono troppo prevedibili e manca davvero lo scatto per farne un film che "sorprende".
è "solo" un bel film che merita di sicuro la visione - Ismaele




…Petzold sceglie di non alzare la voce e di non calcare la mano, praticando invece un cinema della sottrazione e della rarefazione. Cinema austero che tra le sue ascendenze ha, inevitabilmente, oltre all’obbligatorio Haneke, anche il binomio Dreyer e Bergman (vedendo le sequenze delle traversate in bicicletta di Barbara in una campagna dove l’unico rumore e l’unica voce è il vento, vien da pensare a Ordet). L’altra faccia, quella meno piacevole, di un film come questo è la bassa velocità, il ritmo blandissimo, una contemplatività che può diventare subito noia. Barbara richiede attenzione e pazienza, e se per una buona mezz’ora può spiazzare e irritare per le scarne informazioni che ci dà sui personaggi e lo stile scarnificato fino al quasi niente, poi si rivela man mano, si scopre sempre di più e alla fine il puzzle del racconto si compone perfettamente, ogni parte va al posto suo e tutte le risposte vengono date…

…Un Petzold in forma smagliante prende tutta questa frustrazione, quest’aria tristanzuola dell’est e questa smania di escapismo e le amalgama in un film che solo sulla carta appartiene al “genere” cristallizzato da Le vite degli altri (2006), vale a dire la Vergangenheitsbewältigung incentrata sull’ex Repubblica Democratica. Gli elementi, in apparenza, ci sono tutti, dalla fotografia marroncina alla paranoia di Stato, dal bosco di betulle in stile scambio di spie alle Trabant. Ma Petzold, al solito coadiuvato in sede di sceneggiatura da Harun Farocki, manovra il genere come un cubo di Rubik e sforna una storia d’amore – trattenuto – screziata di unheimlich, di situazioni inattese e fiabesche, nere come la pece ma deturnate dall’ironia…

 nel 2013 La scelta di Barbara altro non è che un racconto didattico, stilisticamente impeccabile nonché prevedibile, che soddisfa le aspettative dello spettatore lasciandolo però del tutto freddo: un problema prodotto sia dalla costruzione narrativa del film che dal sedimentarsi dell’immaginarsi collettivo. Infatti, di fronte al tempo che passa, il cinema storico deve affrontare la sfida della graduale banalizzazione a opera della memoria degli eventi passati. Ciò che prima era il nostro presente, o passato prossimo, muta con gli anni nella trasmissione del racconto epico di ciò che fu; ma l’epica per sua natura deve sempre tendere a semplificare la realtà. Allora ci sono i buoni, gli eroi, e i cattivi da sconfiggere per conquistare la libertà, e La scelta di Barbara non è da meno nel narrare non i fatti storici quanto l’impressione che hanno lasciato nel ricordo: non può mancare perciò una protagonista stoica, leale e altruista, alle prese con l’indifferenza schiacciante di una dittatura impersonata da agenti, poliziotti e cittadini spietati, quasi monolitici nella loro apparenza…

…La valeur ajoutée de Barbara, tant au cinéma allemand qu’à la filmographie traitant de cette époque, réside dans sa tension et la force de son propos. Renouant par son style avec le cinéma d’auteur, Christian Petzold offre un témoignage authentique et juste d’une époque douloureuse pour plusieurs générations d’allemands, qui montre avec  psychologie la complexité de la situation à laquelle la population a été confrontée, tant sur un plan professionnel, moral que privé. De très bons — et beaux — acteurs, en particulier Nina Hoss. De quoi avoir envie de découvrir le filmographie de Christian Petzolz.

It's also interesting to see how closely the direction matches the character arc. The more Barbara opens up, the more Petzold's camera seems to move in closer to her perspective, giving us a more intimate vantage point. It's a change in tone that happens so slowly it's barely even noticeable, and it takes us all the way from the opening frames where we are staring at her from a measured distance, to the brilliant closing shot of actually looking out through her eyes. 
This is probably too slow moving and subtle of a picture to get much love from Academy voters, it hasn't got the immediate appeal or power of Florian Henckel von Donnersmarck's similarly set 2007 Oscar winner The Lives of Others, but for those who love quietly intelligent, low-key character driven dramas, it is a masterful example that you don't want to miss.

Andre, after examining the boy who attempted suicide, confides to Barbara, "I don't know. Something is wrong. I can feel it." One could say that about the entirety of the world portrayed in "Barbara," a world filled with everyday objects: bathtubs, pianos, bicycles, cigarettes, all of which take on portentous significance when seen in the context of totalitarian culture. Something is wrong in East Germany, and everyone can feel it. Doctors examine a patient and make a guess at a diagnosis. 
The reality of Barbara's world, and the world of all East Germans, is one of constant surveillance, omnipresent informers, and a huge gap between private and public behavior. Petzold is a master at creating the kind of tension that can be felt on a subterranean level, a sort of acute uneasiness that can't be easily diagnosed, fixed, or even acknowledged by the characters. This is well-trod ground for Petzold, but never has it been so fully realized, so palpable, as in "Barbara”.

que serait «Barbara» sans son interprète principale ? Nina Hoss, prix d'interprétation au Festival de Berlin 2007 pour « Yella » (film du même réalisateur flirtant avec le fantastique), fait à nouveau des merveilles dans un rôle qui amène malheureusement peu d'empathie. Elle est l'âme du film de Christian Petzold, celle par qui la dénonciation d'un totalitarisme se fait concrète, stigmatisant dans ses actions les pires exactions d'un système : amours et carrières brisées, envoi en camp de travail forcé, criminalisation du suicide... Elle est aussi celle qui hésite, entre devenir un monstre ou garder son humanité, entre un avenir dangereux et l'amour d'un métier et d'un peuple. On aimerait la voir plus souvent sur nos écrans français...

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