domenica 29 luglio 2012

La scuola è finita – Valeria Jalongo

un film dell'orrore, a tratti, e forse la realtà ci va vicino.
brava Valeria Golino, ma il film non mi ha conquistato.
se proprio uno lo vuole vedere...- Ismaele




…Dramma venato di commedia sotto l’egida di un insistito realismo, il film – scritto dal regista con Francesca Marciano, Alfredo Covelli e Daniele Luchetti (autore del molto migliore La scuola) – è il tentativo andato a vuoto di indagare sul serio lo squallore e il declino del sistema scolastico italiano. Quello che interessa a Jalongo, infatti, è raccontare in un contesto suburbano il potere salvifico della musica, la capacità che l’arte ha di redimere e raddrizzare vite bruciate e famiglie disfunzionali, dando per scontato il fallimento delle istituzioni sociali. Niente di male, se non fosse che Jalongo sembra sbagliare i mezzi, confondendo spesso la realtà col realismo e arrivando all’artificio al posto della più ostentata verità…

…Si sente pulsante la preoccupazione di Jalongo ma l'intensità si disperde in una disorientante divisione in capitoli, come didascalici libri di testo, e soprattutto in un campionario di gioventù bruciata già vista. Il già visto fagocita e fa implodere la piega più interessante del racconto: La scuola è finita poteva essere uno dei pochi film che si spostano sul punto di vista dei professori e non solo degli alunni figli e vittime del degrado periferico. Poteva essere un racconto sull' umanità di un ruolo così difficile ma fondamentale come l'insegnante, dove è facile sbagliare e esser subito condannati se si va al di la del consiglio dei docenti, delle ore pagate e degli scrutini affrettati in aule fatiscenti. Ma è una via del racconto tardiva e la scuola finisce così con piccole speranze all'ombra di un pessimismo non approfondito.

Rispetto alla surreale, inquietante idea di messa in scena che ha lasciato intravedere nella scelta dei setting e nell’ideazione delle scenografie, La scuola è finita si tramuta in un lungometraggio fin troppo schematico ed inserito in alcune determinate logiche del cinema italiano, “gabbie” economiche e narrative che diventano esse stesse una forma di autocensura preventiva rispetto all’idea di osare veramente qualcosa di nuovo, anche se sanamente sconclusionato. Jalongo ha gettato alle ortiche una curiosa opportunità, e la sensazione netta è che sia un vero peccato. 

 Resta un film profondo e sincero, se volete rozzo, che purtroppo rischia di passare inosservato, un grido forsennato di dolore che speriamo non rimanga ai più sordo. A volte succede che al posto di un professor Keating ci sia un Tallarico, che antepone la disperazione della sua vita fallita al bene degli studenti: non basta certo conoscere il Marinetti per poter fare di conoscenza virtù, serve anche il discernimento delle situazioni.

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