venerdì 11 maggio 2018

Loro (seconda parte) - Paolo Sorrentino



se la prima parte (se fosse stato un film erotico soft, come quelli che si giravano in Italia negli anni ’70) poteva avere come sottotitolo Tira più un pelo di f… che un carro di buoi, la seconda parte potrebbe avere come sottotitolo I dolori e i turbamenti dell’anziano delinquente.
Toni Servillo è straordinario, come sa esserlo un attore come lui, e riesce anche a moltiplicarsi, e potresti commuoverti per quel ricchissimo e incompreso genio (secondo lui, S.) della finanza e della politica, tra le altre cose.
niente di serio esiste per lui, al di fuori dei suoi interessi, e non riesce a trattenersi quando può (e deve) essere amato, un gioiello o una barzelletta, o una battuta per lui pari sono, vuole solo essere amato e riverito.
un tempo si diceva che il personale è politico, nel film si vede che è tutto il contrario (S. docet, e gli allievi non mancano).
tutti vogliono usarlo, quasi sempre non ci riescono, e il tradimento, nell’amore per lui, sarà vendicato.
se un poco quel vecchio con un alito da nonno ti ha intenerito, ritorna in te, guarda e ascolta qui
Sorrentino e Servillo sono una bella coppia, al cinema fanno sempre una bella figura (la seconda parte è meglio della prima, ça va sans dire).
buona visione - Ismaele



Questo potente potentissimo che non accetta il declino, e proprio per questa ragione si perde (paradossalmente tornando però ai vertici), che non chiama Mike Bongiorno, l’amico di una vita, perché Mike ha solo ricordi dietro di sé e lui vuole invece avere un futuro davanti a sé, è un piccolo mostro dentro il quale Sorrentino e Contarello entrano come in Manhunter, con una totale immedesimazione con l’oggetto della caccia. I due capiscono così tanto Berlusconi da essere partecipi del suo desiderio di non morire dentro, di non essere vecchio, di continuare a piacere, continuare a essere il proprio mito, di esagerare con donne e feste per scacciare il declino. Nel loro Berlusconi c’è una pulsione così forte verso la vitalità che è impossibile non condividerla, la lotta umanissima per non tramontare personalmente in un uomo che identifica il personale con il pubblico. Questa lotta egoista distrugge senza remore e senza empatia tutto quello che è intorno a lui: Veronica, Mike, gli amici, i politici e tutta la corte di miracoli che con le feste sperava di svoltare nella vita.
E proprio qui c’è l’ultimo grande tentativo, quello più fallimentare, di un film che alterna (come troppo spesso capita a Sorrentino) il sublime con il raccogliticcio, l’elevato e riuscito con il posticcio e il puerile. Come già in Il DivoSorrentino ha l’ambizione di demistificare una figura gigante su cui esiste già una chiara mitologia. Di Andreotti voleva cancellare l’idea di uomo intelligentissimo e al suo posto fondare una mitologia vampiresca e ombrosa. Con Berlusconi vuole cancellare la sua narrazione, quella del grande imprenditore vincente, e creare quella del gaudente e vitale, del venditore ovvero “l’uomo più solo del mondo perché parla sempre, senza ascoltare” (come gli dice Ennio Doris, interpretato sempre da Servillo in un’idea geniale di moltiplicazione di Berlusconi nei suoi collaboratori) infelice anche se finalmente al governo.
Lo si capirà nello showdown finale con Veronica, il momento culminante del film che tuttavia è anche il più diretto e sfacciato di un’opera che invece in più punti sa essere sottile e realmente umana.

Loro altro non è che uno stralcio iper-realistico dell’ultimo quarto di secolo della storia d’Italia, tratteggiato dal regista napoletano con la consueta cifra stilistica felliniano-grottesca. Magistralmente. Come magistralmente Berlusconi ha saputo incantare buona parte del Paese. Vendendo sogni impossibili. «Un torero», come lo ha definito Sorrentino parafrasando Hemingway. Un torero che, ancora oggi, ottantaduenne, si agita nell’arena.

…La visione d’insieme di Loro è deficitaria proprio perché la scrittura sembra perdersi nell’universo di un uomo (e suoi derivati) che è un calderone ribollente, una megalomane controversia così costante da diventare coerente.
Da qualche parte di questa galassia, anche le certezze di Sorrentino si smarriscono e chiedono informazioni ai passanti; persino le sue metafore, i suoi simboli e le sue esagerazioni divengono improvvisamente di imbarazzante innocuità.
Nel declino dell’iniziale vigore c’è spazio anche per una superflua parentesi sul terremoto a L’Aquila, pane raffermo e compassato per denti retorici, talmente poco sorrentiniano che sembra imposto.
Ripercorrendo a ritroso l’intero tragitto di Loro, la sensazione è quella di un viaggio suggestivo ma incompleto, più improvvisato che studiato, a cui sfugge la sintesi di tutte le sue riflessioni, conducendo ad un capolinea di gran lunga più estetico ed autocontemplativo che utile o analitico.

Se hai messo in piedi un film di oltre tre ore sulle avventure di Tarantini e le sue 28 mignotte a Villa Certosa, in qualche modo devi portare a termine quel film che hai iniziato, non puoi partire da altre parti. O forse lo puoi fare, ma devi portarmi qualcosa di altrettanto forte. Invece Sorrentino liquida banalmente, con una battuta, la coppia Scamarcio-Axen, come due parvenu che sono stati giocati dai professionisti, e parte per un altro film, tutto fatto di dialoghetti, mostrandoci Veronica che vuole il divorzio perché ha letto troppi articoli di Travaglio, e non perché l’ha visto far lo scemo ai Telegatti, come nella celebre lettera a “Repubblica”.

LORO SORRENTINO BERLUSCONI SERVILLO VERONICA LARIO ELENA SOFIA RICCI
O mostrandoci il ritorno alla Presidenza e subito dopo il terremoto de l’Aquila. Tutte cose che ben conosciamo, è vero, ma che non servono a chiudere il film, perché il film è già chiuso da tempo. La commedia alla Dino Risi, diciamo, era quella che vedeva la scalata della coppia di parvenu a corte, ma i due personaggi vengono quasi dimenticati nella seconda parte.

LORO IL BUNGA BUNGA BY PAOLO SORRENTINO
Se Loro 1 poteva imbarazzarci per una prima ora troppo molestatrice, e sembrava irrisolta perché aspettavamo la seconda, la seconda, a sua volta, è irrisolta perché non rispetta nessuna costruzione narrativa e si sfalda in qua e là. Peccato.

LORO BERLUSCONI BY PAOLO SORRENTINO
Perché Loro 2 ha almeno tre scene magistrali, e offre a Toni Servillo grandi momenti. E abbiamo capito che più Sorrentino si allontana dalla realtà, dalla cronaca da docufiction, da quello che i lettori del Fatto e di Repubblica pensano sia la realtà, più il suo sguardo pop grottesco funziona. Detto questo, anche se non è un film compatto, rimane un grosso tentativo di capire quello che abbiamo in Italia in questi ultimi vent’anni. E in una stagione così disastrata, non è poco. Certo, contro Thanos e gli Avengers può fare poco.

Vien quasi il dubbio che Sorrentino abbia come smarrito la via maestra che si era prefisso e abbia finito per essere sovrastato da una materia strabordante, che non riesce più a governare nemmeno in un film doppio. Se è giusto che certi personaggi restino senza spiegazione (il misterioso «dio» della prima parte o il valletto-segretario biancovestito con la calvizie di Dario Cantarelli), si fatica a capire l’uscita di scena sottotono della coppia Scamarcio/Axen, il frettoloso accenno al consumarsi della storia tra il ministro Recchia e la bella Tamara, lo spegnersi della luce di Kira (una Smutniak che in nome del suo ruolo da «ape regina» finisce per scavalcare con eccessiva facilità i limiti del buon gusto). E quando invece il film sembra trovare un respiro più disteso, ecco che torna a far capolino un moralismo ai limiti del didascalico, come nell’insistito dialogo tra Berlusconi e una Veronica decisa a divorziare. O in quello altrettanto superficiale con una ventenne, che sembra costruito solo per permettere una battuta a scoppio ritardato (quella sull’odore del detergente per dentiere). Per non parlare dell’insistita volgarità con cui sono riprese le «olgettine» mentre cantano «meno male che Silvio c’è».
È proprio l’effetto d’insieme che lascia insoddisfatti, il disequilibrio tra le scene, l’ambizione di voler dire tutto – privato, pubblico, politica, amicizie, ambizioni, fallimenti – senza cercare di trovare un filo che quel tutto lo leghi e lo interpreti. E che un finale con troppe ambizioni metaforiche – la statua di un Cristo dolente che viene salvata dalle macerie del terremoto dell’Aquila, tra la folla muta che osserva – finisce quasi per ricondurre a scherzo blasfemo. Non si capisce se monito a un mondo che sembrava insensibile alla sofferenza o sguaiato paragone alle macerie in cui si ritrova chi si credeva indistruttibile.

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