domenica 11 febbraio 2018

Bassa marea (Low Tide) - Roberto Minervini

un ragazzino senza la gioia dell'infanzia, gira con la sua bici, quasi sempre solo, ha una casa, una madre, che deve accudire e non viceversa.
non si sorride, che non è necessario, neanche fosse un bambino dei film dei fratelli Dardenne.
niente di eccessivo, praticamente un documentario (è un complimento) - Ismaele



QUI il film completo, in italiano


Un ragazzino vive con la madre single e si trova ad occuparsi non solo delle faccende domestiche ma anche della genitrice. La giovane donna lavora in una casa di riposo per anziani come inserviente e si fa aiutare dal figlio del quale però non si occupa praticamente mai non rinunciando peraltro ad ospitare partner o a consentire che si cerchi di coinvolgerlo in situazioni scabrose.
Di preadolescenti o adolescenti di cui gli adulti non si occupano oppure si occupano nel modo sbagliato il cinema ce ne ha proposti molti e quindi ogni volta ci si chiede cosa si possa dire di nuovo in materia. Ma quanto affermava Tolstoj nell'incipit di "Anna Karenina" ("Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo") è applicabile anche a questa delicatissima fase di formazione dell'essere umano. Minervini sa come coglierla in modo originale anche se il suo protagonista senza nome non può non ricordarne un'altra che un nome ce l'aveva ed ha segnato la storia del cinema: Rosetta. Come i Dardenne Minervini usa solo musica diegetica e come loro pedina il proprio protagonista con la macchina da presa. Non lo fa però come loro in maniera ossessiva consentendogli anche quelle pause di respiro che a Rosetta o al ragazzo de Il figlio erano negate…

 Minervini si dimostra abilissimo nel generare un parallellismo graduale tra il senso d'attesa che cresce nello spettatore, e l'esasperazione del ragazzo fino al raggiungimento del climax che anticipa il catartico epilogo. L'estremo richiamo d'attenzione "urlato" dal figlio è la dimostrazione di quanto troppo spesso ci si accorga dell'importanza e dell'amore verso una persona, solo nel momento in cui stiamo per perderla. E sarà quindi il preludio a quella bassa marea, simbolo di un'acqua persistente i cui segnali erano minuziosamente disseminati fin dall'inizio (il fiume, la pioggia, la piscina gonfiabile, l'acqua stessa che irrora i campi) ma che solo nell'immensità del mare potrà finalmente fungere da elemento riconciliatorio, con la stessa intensità di un abbraccio materno, a lungo desiderato.

 Minervini si allinea alla lezione e alla poetica di Jean Rouch e, come il suo più illustre predecessore, non cela nulla ma nemmeno indugia nel sensazionalismo. Non interferisce mai con l’azione, con l’unica eccezione, che diversamente dal regista parigino, la indirizza per poi lasciarla fluire e svolgere naturalmente. Come Rouch anche Minervini sembra disposto a infrangere o scardinare le regole del cinema se contrastano con l’immediatezza della comunicazione.
Il linguaggio minimalista, rigoroso ed essenziale nella messa in quadro, alla pari dei tempi dilatatati si manifestano sullo schermo con un ritmo lento che trova negli intensi primi piani fissi e negli sporchi piani sequenza a mano la manifestazione più efficace della teoria del pedinamento. Sono sempre i corpi il centro del non dire e del non fare, a essi la macchina da presa si affida dal primo all’ultimo fotogramma utile.
La narrazione è esigua, ridotta all’osso, fino a dare l’impressione che nulla si stia manifestando davanti ai nostri occhi, quando invece è il contrario. Ciò può allontanare il fruitore e in effetti è quanto si verifica, perché al contrario di Comodin le emozioni arrivano con il contagocce, cristallizzate e mai accessibili fino in fondo allo spettatore.


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