venerdì 7 aprile 2017

L'intrepido - Gianni Amelio

già Caparezza cantava un eroe, poi Amelio sceglie Antonio Albanese per essere un eroe dei nostri tempi, reale, ma anche no.
film tristissimo, buio, senza sole, e senza troppe vie d'uscita.
non adatto a che è anche solo un po' depresso.
e però merita di essere guardato, per quanto nerissimo, ma per un bel po' di gente altri colori all'orizzonte non se ne vedono, solo il buio dell'avvenire - Ismaele






Se il suo candore elementare, che fa di Antonio una variante problematica del personaggio di Totò il buono (dal titolo del romanzo di Cesare Zavattini da cui è tratto il soggetto di Miracolo a Milano, di cui Amelio scrisse: «è forse il film più bello della nostra vita? Qualche volta penso di sì»), può ancora riempire lo sguardo in un mondo che non ha più niente di fiabesco, sono appiattite su traiettorie stereotipate alcune figure che orbitano intorno a lui (i mafiosi orchi tenutari della palestra, gli imprenditori burattinai di loschi affari, gli immigrati solidali vicini di casa), ridondano le domande («Sei felice?», «Hai bisogno d'aiuto?») che egli rivolge inutilmente a una generazione di figli tormentati, spiazzano le incongruenze (preso d'assalto dai cronisti, Antonio risponde che, sì, la ragazza era piena di vita) e sono numerosi i dialoghi francamente indigeribili (Antonio: «La fame è una brutta cosa, l'appetito aiuta»). Meglio allora passare oltre certi tic irrigiditi e proseguire la ricerca di risposte sulla felicità - ovvero sull'«immensa tristezza che deriva dall'essere la vita com'è e non come dovrebbe essere» (Zavattini) - soffermandosi altrove: osservare la città, Milano come spettrale cupola estesa sul paese, che sovrasta le umane figurine passeggere schernite da slogan fossilizzati del fallimento (UN GRANDE FUTURO PASSA DI QUI; LA TERRA TREMA). E ricordarsi che, come conclude questa commedia with a tear - and perhaps, a smile, l'ultimo sorriso, la via di fuga, come il volo di Totò, spetta a chi continua a vegliare a suo modo su di noi.

La pellicola ha una struttura in parte frammentaria, fatta di tanti blocchi, in ognuno dei quali il Nostro si confronta con un lavoro o con una personalità che in varia misura condiziona le sue giornate fatte di lavori tanto diversi eppur tremendamente simili. È un assetto narrativo già suggerito nei primi tre minuti che anticipano i titoli di testa. Sono momenti di piccole potenziali tragedie quotidiane, ingentilite da un tocco di ironia che in questo caso Albanese lavora in tonalità più soffuse del solito. Per metà dell'opera o poco più la gradevolezza dell'insieme supera la mancanza di una urgenza espressiva. Ma quando le avversità, toccando anche una tragedia, si assestano su grigi binari, i fattori sembrano frettolosamente addizionati e, probabilmente, destinati a rimanere irrisolti (chiaro ma fuori dal mondo il ribaltamento di "Lamerica"). 
Le conseguenze non sono spiegate e alla fine ci si rifugia in un ritorno all'ottimismo intriso da un titubante semi-onirismo, dove le distanze tra le varie tonalità subiscono degli scarti aggrovigliati e sfocati.
In questo modo Gianni Amelio, straordinario autore che, soprattutto negli anni 90 imprimeva alla materia un furore incalzante anche nelle pause e nei silenzi, sceglie una gradazione più leggera proprio per confrontarsi con una attualità tanto precaria. È una medicina preparata con nobiltà e abnegazione, ma la malattia non ne viene intaccata.

L’Intrepido è una favola che non trova il coraggio né di affondare fino in fondo nel dramma né di abbandonarsi alla leggerezza, scegliendo invece di caricare le spalle di Antonio Albanese – buon protagonista ma lungi da essere un mattatore – di un peso troppo gravoso che passa per l’intrattenimento e giunge alla pubblica riflessione. Sebbene qualcuno abbia già paragonato l’espressione bonaria e timida del comico – svestitosi ormai dei feroci panni del volgare ma divertente, e intellettualmente onesto, Cetto La Qualunque – ai protagonisti del cinema muto di un tempo e persino ad un novello Chaplin, nell’amara ironia di Gianni Amelio, che pure con tanta insistenza lo aveva immaginato e voluto nella sua pellicola, Albanese appare trovarsi solo parzialmente a suo agio.

…Quello di Amelio è un film in cui i personaggi non appena sono lasciati soli fanno un'espressione triste e guardano nel vuoto o contro un muro, che non rispondono, che buttano gli oggetti per terra senza spiegare perchè, poichè pare non ci sia nulla da spiegare, sono preda di un vago mal di vivere tanto acuto quanto immotivato quanto fastidioso.
Vivono in un universo anch'esso chapliniano fatto di spietati padroni e viscidi uomini d'affari ma non hanno nessuna tenacia, semmai un certo far poetico che non si trasforma mai in poesia, limitandosi a volerlo essere.
E anche Antonio Pane, il folletto felice senza motivo di questo film, si aggira inerme, incapace di fare qualsiasi cosa. Addirittura accompagna un bambino al parco dietro indicazione dei datori di lavoro (rigorosamente senza pretendere di sapere perchè) e quando è là e si accorge che il bambino adesca uomini più grandi (cioè pedofili) si indigna ma non fa nulla per fermare la situazione (mette su lo sguardo triste).
L'intrepido è un film che cavalca il malcontento sociale ma lo fa proponendo figure ben più deprecabili e vittimiste, che scaricano ogni responsabilità, e lo fa senza fornire alcuna motivazione ma con i silenzi e le espressioni da cane bastonato che lasciano intuire solo quello che lo spettatore già ha deciso di pensare.

C’è soprattutto Milano, magnificamente fotografata da Luca Bigazzi e finalmente, per chi ci abita e la conosce, credibile. La nuova Milano Garibaldi-Isola, e quella delle periferie. L’intrepido ha un andamento rapsodico, accumula segmenti e singoli episodi e non ce la fa a costruire, o non vuole, una progressione narrativa e drammaturgica. Un film orizzontale, non senza ripetizioni e ridondanze. Però l’occhio di Amelio è assoluto, è quello di un maestro; il dolore quotidiano, la durezza di questa Italia senza lavoro e come implosa, depressa e ripiegata su di sé, sono restituiti come nessuno ha saputo fare nel nostro cinema negli ultimi tempi…

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