sabato 24 settembre 2016

Gummo – Harmony Korine

un'opera prima che lascia il segno.
dopo aver visto il film di Harmony Korine mi è venuto in mente Donnie Darko, anche lì dei ragazzi vagano, facendo cose strane, dicendo cose strane, i genitori ci sono, ma contano poco.
Gummo è stato girato in una comunità e in una cittadina mezzo distrutta da un uragano, ma sembra un posto visitato da un'esplosione atomica, con i superstiti con i cervelli danneggiati.
i ragazzini e le ragazzine vivono in un mondo altro, ma che è il nostro, pensano e fanno cose che sembrano strane
il punto è che non è un film di fantascienza, per quanto vorremmo, ma quasi solo una cronaca.
sappiate che non starete bene dopo aver visto questo film, ma avrete visto qualcosa che non si dimentica.
buona visione - Ismaele




… Gummo è un film a cui il concetto di bellezza non si appiccica neanche per sbaglio. Anzi, è difficile anche solo considerarlo un film. Uno sguardo su Xenia, cittadina dell'Ohio sconvolta dall'uragano Gummo che ne ha decimato la popolazione lasciandola nel degrado più assoluto. Forse l'uragano però è stata solo la mano divina che, abbattendosi sul paese, ne ha messo in luce il marcio che latente l'ha sempre contraddistinto e che, forse, contraddistingue l'umanità intera.
Gummo è una pellicola che, attraverso uno stile (finto) documentaristico, racconta storie terribili, personaggi disgustosi e la vita a cui costoro si aggrappano con tutte le loro forze. Adolescenti che, privi di una guida adulta (gli adulti sono morti, catatonici o peggio dei loro figli) si ritrovano allo sbando vittime di una violenza che perpetuano ai danni dei più deboli (i gatti che ammazzano per gioco e per soldi), delle droghe e di sesso mercenario. Il tutto messo insieme senza soluzione di continuità, alternando le vicissitudini dei vari protagonisti alle finte interviste degli abitanti. Per questo non si può considerare Gummo un film vero e proprio, almeno dal punto di vista formale. 
Attori non professionisti (tranne Chloë Sevigny), macrocefali, nani neri. Ragazzini vestiti da coniglio che pisciano e sputano da cavalcavia colmi di immondizia. Linguaggio volgare sulla bocca di bambini in età pre-adolescenziale, bestialità e l'orrore che diventa normalità in un mondo orribile.
In un certo senso Gummo è un film dotato di un'attitudine pasoliniana. Ma è anche la rappresentazione di un sogno americano che non si è mai avverato. Un incubo. Vivono nell'incubo Solomon e Tummler, piccoli mostri sniffacolla. Vivono nell'incubo Darby e Dot, ragazze assuefatte all'anormalità. Non c'è salvezza per loro, non ce n'è per nessuno. Eppure Gummo è il plateale tentativo di sconvolgere ad ogni costo, esasperato persino. Si punta sull'orrido e il grottesco, sul brutto per dar fastidio e far parlare di se. Perché è furbo, pure troppo. Quindi può piacere o no, senza mezze misure. A me è piaciuto - per la fotografia di Jean Yves Escoffier, per la colonna sonora che va dal metal all'hardcore passando per folk e classica, perché non annoia e resta un tentativo controtendenza - ma non lo reputerò mai un bel film. Perché non lo è e probabilmente non lo vuole essere.

Il primo lungometraggio dell'allora 24enne Harmony Korine è un film nel sottoproletariato bianco a stelle e strisce.Gummo non interpreta, descrive con personalità ed empatia le scorribande e gli espedienti di giovanissimi baraccati sopravviventi in una cittadina di palude e provincia, non a caso chiamata Xenia. Brevemente, senza timore di dissacrare: dove Accattone dipingeva con tinte pasoliniane il sottoproletariato romano anni '50-'60, Gummo pennella (e graffia) quello un po’ più globalizzato, ma parimenti spietato e fognaiolo, degli USA fine anni ’90. L'attrazione per gli ultimi, i folli e gli sbandati, anche quando sono messi in cattiva luce, è pura e appassionante. E' anche esasperata. (Ogni tanto mi chiedo: perchè dovrebbe dare fastidio l'esasperazione, l'enfasi? La vita di quelle persone è ESASPERATA ed è ESASPERANTE. Provare per credere. Korine e Pasolini lo sanno e non si fanno quel genere di pippe).
Ad ogni modo, per me, Gummo è un film da spellarsi le mani per il coraggio di raccontare in quel modo quei personaggi, enfasi compresa.

“Il senso di tutto questo cinismo, di questa assurdità? Dire a tutti: tranquilli, ci sono io, Harmony Korine. Forse Korine pensa di svelare la cruda verità attraverso l’esibizione di giovani problematici senza alcun adulto a far da modello positivo, ma è solo spazzatura. C’è una differenza tra osservare la realtà senza batter ciglio e sguazzare nella degenerazione”. Così parlò Mark Caro del Chicago Tribune nel 1997, come lui si espressero moltissimi critici americani, impreparati alla visione di Gummo: un film ripugnante, crudele, rancido, perverso secondo i più severi, secondo i più buoni invece un film sconclusionato e velleitario. Avevano ragione tutti quanti, Gummo è un capolavoro, uno dei film più caotici, disturbanti, perturbanti della storia del cinema…

 I personaggi compiono delle microstorie a sé stanti che servono sempre e solo a sottolineare un unico e ben preciso concetto, ovvero di un mondo dove nulla riesce più a smuovere gli animi e dove ogni valore sembra perso. Il che è un messaggio giusto e con una sua non indifferente portata, ma esprimendosi fin da subito in tutta la sua interezza finisce per perdere col tempo tutto l'appeal iniziale. E la voce finto depressa fuori campo aiuta di molto nell'accumulare un senso di disagio che a lungo andare si fa insopportabile, fino ad arrivare a far riconoscere l'esito finale nella mera provocazione gratuita. Fortunatamente non si arriva mai a quel livello in maniera totale, ma certi tratti mi hanno davvero fatto storcere il naso più di una volta, specie nell'insensatezza dell'andazzo generale, alla lunga davvero stancante e fin troppo facilone. Ma alla fine rimane il particolare più importante di tutto: nel bene e nel male questo Gummo non è un film che fa rimanere indifferenti proprio per via di questo sua estremismo. E anche se la sua ultima visione risale a qualche anno fa, certe sequenze sono ancora vive nella mia memoria…

Opera prima dell'enfant terrible Harmony Korine, che a 19 anni aveva attirato l'attenzione su di sé per aver scritto l'acclamato e criticatoKids (1995). A 23 anni Korine mette nero su bianco la propria esperienza di vita a Nashville, trasportandola nel fantomatico, ma esistente, paesino rurale dell'Ohio, Xenia. Gummo è uno sguardo che vorrebbe essere freddo e distaccato verso la nichilista gioventù della Middle America, ma lo stile alienato, frammentario e iperrealista di Korine risulta ancor più nichilista dei personaggi che vorrebbe ritrarre. La struttura non lineare dell'opera e la programmatica sgradevolezza del tutto, tradiscono il potenziale di "verité" che Korine vorrebbe iniettare in Gummo. Il risultato finale è imprescindibile dal fatto che ai tempi delle riprese il regista avesse 23 anni e quindi la sensibilità con la quale viene affrontato il film sembrano riflettere tutta l'erraticità e l'indeterminatezza di quell'età, così come il modo di captare tematiche, rigirarsele fra le mani per pochi minuti e lasciarle in giro in disordine. Lo stesso regista avrà modo di dire: "I never cared so much about making perfect sense. I wanted to make perfect nonsense. I wanted to tell jokes, but I didn't give a fuck about the punch line(Non mi è mai interessato molto il fatto di dire cose che avessero un senso perfetto. Ho voluto fare dei nonsensi perfetti. Ho voluto esprimere dei giochi di parole, ma non me ne frega un cazzo delle frasi ficcanti)"…


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