lunedì 22 febbraio 2016

La terza generazione - Rainer Werner Fassbinder

i terroristi di Fassbinder sono una banda di rivoluzionari al confine fra la tragedia e la farsa, non troppo diversi, forse, dai nostri terroristi.
la polizia li tiene d'occhio, ma riescono a fare quello che vogliono, o che credono di volere.
una frase mi ha colpito, quando a un certo punto un poliziotto dice a un imprenditore nel settore della sicurezza: "Qualche tempo fa ho sognato che i capitalisti avevano inventato il terrorismo per costringere lo Stato a difendere i loro interessi".
(si parla anche di Solaris, di Andrei Tarkovsky, e le immagini del film che passa alla tv, all'inizio, sono tratte da Il diavolo, probabilmente..., di Robert Bresson).

un paio di giorni dopo aver visto il film (del 1979) ho ascoltato alla radio il ricordo del processo da parte delle Brigate Rosse a Roberto Peci (qui, nel 1981); il filmato del processo inizia con le note di Bandiera rossa e termina sulle note dell'Internazionale. 
anche nel film di Fassbinder si sente l'Internazionale. 
chissà se la visione di questo film agli aspiranti terroristi avrebbe evitato infiniti (e inutili) lutti, era il 1979, molte cose strane erano successe e molte ancora sarebbero successe - Ismaele




Forse il più bel film (e il più spietato e livido) mai girato sul terrorismo e uno dei più belli sullo sfacelo politico della società contemporanea. Nel suo classico stile dove la densità della parola e l’allegoria si fondono in opere algide e allo stesso tempo venate di “pietas” per il genere umano, Fassbinder racconta le assurde vicende di un gruppo di terroristi (senza dimenticare la droga) sullo sfondo degli ambigui anni 70 dove il potere e l’economia si danno la mano per scopi misteriosi. Spiazzante e sconvolgente.

…La mise en scène est aussi au cœur de ce qui est probablement un des cinq meilleurs films de Fassbinder, comédie d'hiver donc glacée et sombre, planquée sous un film noir antipsychologique avec vrais chapeaux et impers. Un grand film si vous aimez les pantins, les oscilloscopes en guise de bande sonore. Et les rires en travers de la gorge. Pour son auteur, il était vital qu'un film traite à chaud du terrorisme - comme en Italie au même moment -, nécessité affirmée au vu du climat de plomb allemand quand au sujet [résumé par Heirich Böll dans son court roman L'Honneur perdu de Katharina Blum] et du refus de financements publics pour son film…

…The subversives in the Berlin terrorist cell are led by the sneaky Volker Spengler, the nasty Raúl Gimenez and the cowardly Harry Baer. The chicks are in secondary positions and include the obedient Bulle Ogier, the drug addict Y Sa Lo and the spunky business secretary Hanna Schygulla. They spout anti-capitalist rhetoric, quote from Schopenhauer's book "The World as Will and Idea," write political graffiti on toilet walls, take heroin, rob a bank, get in a shootout with the police and get their info from watching TV and listening to the radio. It's all meant to be entertainment that mixes in politics with what's going down at the time, as if it were film noir but set in a realistic Germany that's growing more repressive each day. Eddie Constantine is the business executive who is taken hostage by this terrorist group when they are dressed as clowns and is videotaped to scare the public. 
It's ugly, messy, dissonant, distasteful but, nevertheless, it's a must see for its underlying reasoning.

…Part deconstruction on the aftermath of the Baader-Meinhoff affair, part criticism of bourgeois alienation (and complacency), and part exposition on celebrity and media addiction (note the saturation of ambient sound, presumably from a constantly running television that crystallizes in the shot of Ilsa with arm outstretch against a foreshortened radio antenna that seemingly displaces a heroin needle as the instrument of her overdose), The Third Generation reflects Fassbinder's singular melding of manic ingenuity with contemporarily relevant social commentary, where the incisive observations serve not only as a reflection of a country's troubled past and uncertain present, but also foretells the corrosive, self-serving dynamics that will define the geopolitical climate of the future.

Fassbinder si dà al thriller fantapolitico anticipando tematiche e argomenti che costituiscono un tetro e profetico incubo che alimenta sospetti di grande attualità oggi più che mai, in quanto legati alle vicende e le tragedie terroristiche che hanno travolto l'Occidente dal nuovo millennio in avanti, in nome di una guerra santa, di uno scontro di culture, di un fanatismo religioso mosso a baluardo di interessi più mirati e celati, in mano a poteri occulti di cui sempre più fortemente si sospetta come autori e responsabili della miccia che ha fatto esplodere la violenza…

La storia di un industriale nella Berlino del 1978 che produce software per schedare i terroristi della RAF. Dopo la morte di Ulriche Meinhoff e di Andreas Baader la RAF subisce una battuta d'arresto, l'industriale temendo di rimetterci di tasca propria assolda un fantomatico latitante per organizzare una cellula eversiva. Il film vuole essere una satira sociale e di costume sulla deriva ideologica dell'eversione rossa tedesca orfana di Baader e Meinhoff, i terroristi sono degli imbranati bonaccioni pericolosi più per se stessi che per gli altri e mossi da un sentimento di rivalsa personale più che dal desiderio di una rivoluzione marxista leninista. C'è la moglie del banchiere seviziata dal marito, il commesso del negozio di dischi vessato dal principale, la tossicodipendente, il fighetto rozzo e profondamente maschilista, la segretaria ''del nemico'', il giovane timido rampollo della ''Berlino bene'', i due militari ed infine il fantomatico doppiogiochista. Nessuno di loro ha idea di chi sia stato Karl Marx e nessuno di loro è comunista. Infine c'è il commissario padre di uno dei terroristi che rivolgendosi all'industriale enuncia tutto il senso del film:''ho fatto un sogno, i capitalisti creavano il terrorismo per convincere lo stato ad assecondare i loro interessi…

Apologo acido e disperato sulla fine delle utopie rivoluzionarie, atroce schianto di disillusione ideologica, parabola livida di morte e gravida di algido pessimismo. Nella cellula sovversiva della“Terza Generazione”, come in un incrocio di superfici riflettenti, si intravedono gli stessi medesimi errori/orrori propri della società borghese-capitalistica che i rivoluzionari vorrebbero combattere: l’ambiguità ideologica (traslata in ambiguità sessuale per mezzo dell’uso metaforico di varie forme di travestitismo), l’autoritarismo, il maschilismo, la violenza, l’autoesaltazione. E tuttavia ogni tentativo di confronto generazionale si infrange sullo scoglio di differenze storiche troppo grandi tra la “prima” generazione (quella che ha conosciuto entrambe le guerre mondiali) e la “terza” generazione (quella dei trentenni del 1978 e quindi quella di Fassbinder stesso, tutta composta da individui nati dopo la fine del secondo conflitto mondiale). La prima animata da una violenta voglia di vita e di riscatto, la seconda oppressa da un oscuro sconforto e da un profondo senso di vuoto esistenziale. Tra le due, la generazione dei padri-poliziotto, repressori perversi e integerrimi custodi dell’ordine. Impossibile individuare un punto di sintesi, un approdo comune. La distanza di posizioni non può quindi non sfociare in conflitto aperto, in lotta, in guerriglia armata, sebbene del tutto inutile e manipolabile. Un conflitto quindi storicamente necessario ma altrettanto illusorio, sembra volerci dire Fassbinder. L’epoca delle chimere e dei fantasmi ideologici è finita per sempre, lasciando dietro di sé soltanto macerie. Maschere vuote che si agitano davanti ad uno schermo per non soccombere…

… Chiede uno studente di storia a Hilde, professoressa di giorno e militante rivoluzionaria nel tempo libero, se non è forse vero che i valori borghesi della Germania pre-nazista (proprietà privata, ordine, disciplina) sono stati determinanti per l’avvento del nazismo stesso. E mentre la donna non risponde stizzita, considerando fuori luogo la domanda, lo fa qualche minuto dopo l’ispettore di polizia che trama e collabora col ‘padrone’ Lurz, quando esclama: «Qualche tempo fa ho sognato che i capitalisti avevano inventato il terrorismo per costringere lo Stato a difendere i loro interessi. È buffo, no?» Con queste due semplici battute Fassbinder sintetizza la gravità di problemi che, se allora erano all’ordine del giorno, oggi non smettono di essere attuali: ha senso combattere con la violenza un sistema che, sotto la facciata liberale e razionale delle sue istituzioni, agisce e si consolida proprio per mezzo di quella stessa brutalità con cui si vorrebbe abbatterlo? E si può esser terroristi incappucciati ma dotati di coscienza di fronte alla spavalda consapevolezza di un potere che si legittima attraverso la manipolazione del terrore e il mascheramento della sua vera natura? Nel finale del film, dove si porta a compimento un rapimento che sembra una triste carnevalata (e di fronte a cui anche la vittima non può che ridere), sta tutta l’amarezza di una risposta che difficilmente potrà lasciare indifferente chi sta a guardare dall’altra parte dello schermo.


Nessun commento:

Posta un commento