domenica 1 novembre 2015

La legge del mercato – Stéphane Brizé

Thierry cerca un lavoro, il business della formazione lo sfrutta per fare corsi, mica per trovargli un lavoro, ciascuno è solo, i sindacati non contano niente, i risparmi finiscono, accetta allora di fare la guardia in una specie di palestra di una specie campo di concentramento (dove non muore nessuno, ma non sempre, musica di fondo e luci rendono tutto cool), l'ipermercato, dove l'essere umano vale meno di niente, valgono i clienti (paganti), il resto sono niente, o possibili criminali, secondo il codice della proprietà.
Thierry parla poco, vede tutto, è rassegnato, dovrà scegliere, ma non è vinto, quando è troppo è troppo, domani si vedrà.
un film non urlato, fatto di sguardi, di resistenza all'omologazione verso la schiavitù (moderna per carità) e al potere delle merci su tutto, sula delazione, controllo, sorveglianza, punizione.
la realtà è anche peggio (leggi qui, per esempio).
Vincent Lindon ha meritato il premio di Cannes, è davvero bravo (come sempre),
il film non è adatto per chi pensa che il nostro sia il migliore dei mondi possibili - Ismaele






… Brizé si prende il tempo necessario per creare i giusti presupposti di un finale coerente, in linea con quanto mostrato fino a quel momento della vita di Thierry, uomo giusto ma mai accondiscendente, marito premuroso e tenero padre, disposto sempre a rimettersi in gioco pur di garantire lo stretto necessario alla propria famiglia: mai una scena madre, o cadute nel patetico, il film sceglie una linea di condotta austera ma non per questo insincera. E la mantiene anche nel momento cruciale, quando Thierry è costretto, suo malgrado, a smascherare prima qualche taccheggiatore occasionale, poi alcuni colleghi del supermercato dediti a lucrare sulle fidelity card o a nascondere qualche buono sconto.
Gente disperata, forse più di lui: e quando “la legge del mercato” viene messa di fronte alla “misura di un uomo” (splendida contrapposizione a cui fa riferimento anche il doppio titolo del film) bisogna per forza di cose prendere una decisione. Soccombere e disumanizzarsi, o smettere la divisa di un sistema che non accettiamo più. Chapeau.

…Anche se il regista Stéphane Brizé non ne possiede la forza formale, per la coerenza e la verità della messa in scena si pensa al cinema dei fratelli Dardenne; e nei panni di Thierry, un formidabile Vincent Lindon, premiato per l’interpretazione a Cannes, filtra il messaggio attraverso uno sguardo in cui si legge il dolente dilemma di un essere umano consapevole di trovarsi, non si sa per quanto, dalla parte sbagliata della barricata.

da qui


…Emblematico il titolo del film nella distribuzione in lingua anglofona ("The Measure Of A Man") che ci pone, in chiusura, un'ineludibile domanda: qual è il valore di un uomo? Quello calcolato sulla base dei protocolli sociali o quello che richiama a una situazione autentica, di comprensione dell'altro?
Questo il quesito a cui "La legge del mercato" tenta di (non) rispondere, puntando tutte le sue forze sull'(in)espressività di Vincent Lindon (unico attore professionista all'interno del cast), che si porta a casa con grande merito il premio alla migliore interpretazione maschile al festival di Cannes. A lui, in costante dialogo con l'istanza narrante della macchina da presa, è affidata pressoché tutta la scena, essenzialissima e privata di qualsiasi manierismo o slancio estetico. 
Il film rimane su un costante livello di apatia ed è caratterizzato da una certa ripetitività narrativa delle sequenze, ma ciò non fa che evidenziare maggiormente lo stato interiore dell'uomo contemporaneo…

…il suicidio sul luogo di lavoro sembra essere l’unico esito possibile ai meccanismi di negazione ed erosione della soggettività che in tempi di crisi vengono perpetrati in misura sempre maggiore in fabbrica, in azienda, a scuola e in tutti gli altri ambiti lavorativi. Sintomatico e purtroppo assai realistico è il discorso del manager delle Risorse Umane che nel finale cerca di convincere i dipendenti del gruppo del fatto che la colpa di un gesto estremo non è loro, che di fronte alla decisione di farla finita non si può dimostrare che un licenziamento pesi più di avere un figlio che si droga.
Brizé condensa in modo a tratti brutalmente disadorno questi elementi prelevati dalle cronache quotidiane degli ultimi anni – e già oggetto in Francia di un’ampia letteratura saggistica e narrativa – e li accentua con uno stile semi-documentaristico in cui il protagonista è filmato sempre da vicino ma la camera a mano si muove di continuo facendolo entrare e uscire dal campo in cui viene contrapposto, praticamente in ogni sequenza, ad altri personaggi da cui dipenderà il suo destino. Inoltre, la scelta di affiancare a Lindon un gruppo di interpreti in larga parte non professionisti, ai quali l’attore si amalgama bene, intende aggiungere un grado ulteriore di autenticità che il doppiaggio italiano rischia di smorzare…

Brizé sceglie frammenti di vita e chiede allo spettatore di guardare, di sommare; non usa alcun artificio per emozionare, ma provoca a poco a poco un disagio profondo: la storia di Thierry è una Passione contemporanea che riguarda molti. Sullo schermo è resa evidente la perversione della legge del mercato che fa scatenare la guerra tra poveri; ma è anche evidente che gli strumenti collettivi di risposta non sono più efficaci, perché il lavoratore è logorato dalle attese, dagli insuccessi: “non ho più energie, voglio solo voltare pagina” dice Thierry. Lavoro e affetti entrano silenziosamente in conflitto: coraggio è la sopportazione per garantire la propria famiglia, qui resa ancor più emergente dalla presenza di un figlio disabile, o coraggio è dire no a un sistema affermando di non volerne far parte, di non voler essere l’aguzzino prezzolato dei propri compagni di sventura?...

… Non si può peraltro parlare de La legge del mercato, senza parlare del coinvolgimento di un grande attore come il francese Vincent Lindon. Qui lo vediamo interpretare un uomo sulla cinquantina, scaricato dall’azienda per cui aveva lavorato 25 anni a causa dei brutali meccanismi della delocalizzazione, ritratto fin dalle primissime scene mentre è alle prese con la disoccupazione, con “stage” e lavoretti temporanei per niente risolutivi, con sussidi insufficienti, con l’aumentare continuo delle spese cui è soggetto il suo piccolo nucleo famigliare, con le critiche dei vecchi compagni del sindacato che lo avrebbero voluto ancora al loro fianco, nella difficile causa intentata all’azienda rea di aver licenziato lui ed altri.
Quest’ultimo elemento è importante, per capire bene il clima di disillusione e di avvilente “monadizzazione” della classe salariata, che Stéphane Brizé ha saputo introdurre così bene nel racconto…

Nessun commento:

Posta un commento