martedì 29 settembre 2015

Eliza Graves (Stonehearst Asylum) - Brad Anderson

ispirato a un racconto di Edgar Allan Poe, è una storia tutta giocata in un manicomio, ritmo lento, grandi attori, sorprese continue.
Ben Kingsley è uno che sta bene nei manicomi, anche qui fa la sua figura, e se continua così bene lo rinchiuderanno in uno di quei posti, se lo merita.
Brad Anderson è sempre bravo, fa pochi film, ma buoni.
chissà se arriverà in sala, e comunque non perdetevelo - Ismaele






...Con un cast pazzesco, che vede Ben Kingsley nel ruolo di Silas Lamb, Michael Caine nei panni del dottor Salt e la nostra vecchia conoscenza Kate Beckinsale a dare il meglio di sé recitando il sofferto personaggio di Eliza Graves, Stonehearst Asylum nel corso delle sue quasi due ore di durata ha il gran pregio di tenere vivo l’interesse dello spettatore dilazionando le rivelazioni e non offrendo mai punti di riferimento: può succedere sempre di tutto e non si è in grado di prevedere le evoluzioni della storia. Non pago, però, lo script di Joe Gangemi si e ci regala anche un finale sorprendente, di quelli che fanno assistere ai titoli di coda con un sorriso di soddisfazione. Missione compiuta, quindi, per Brad Anderson, che dirige con classe e, dopo circa tredici anni, torna a regalare un nuovo, bellissimo film sullo sfondo di un manicomio...

il nosocomio d'ambientazione non fatica ad assumere i metaforici connotati di un mondo le cui menti realmente folli sono quelle che occupano i posti di comando, di potere.
Quindi, evitando, come di consueto, spargimenti di liquido rosso e sensazionalismi da violenza grafica, il buon Brad confeziona con adeguato ritmo narrativo una coinvolgente vicenda ad alta tensione piuttosto impegnata dal punto di vista socio-politico... in maniera non molto distante dalla filosofia del fare celluloide di autori artisticamente sbocciati negli anni Settanta quali George A. Romero, John Carpenter e Wes Craven.
da qui

Il tallone d’Achille di Stonehearst Asylum, ben confezionato e recitato, è proprio nell’approccio troppo diligente del regista statunitense, legato mani e piedi ai rigidi meccanismi della narrazione e poco alle potenzialità visive. Si ha l’impressione, a lungo andare, di trovarsi di fronte a quelle trasposizione inglesi per il piccolo schermo dei romanzi di Agatha Christie, come il Poirot interpretato dal londinese David Suchet, che ogni sabato allieta i pomeriggi di Rete 4. Tutto chiaro, spiegato e rispiegato, innocuo. Ma il grande schermo dovrebbe essere un luogo altro, dove osare, confondere, inquietare. O per lo meno sparigliare le carte…
da qui


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