venerdì 1 agosto 2014

38 témoins (38 testimoni) - Lucas Belvaux

Pierre ha visto e sentito e non ha avuto il coraggio di fare qualcosa.
pero è l'unico che lo dice, qui sta il problema.
ma, come dice il procuratore, accusare tutti i 38 testimoni è un atto d'accusa contro una società intera, vile, paurosa, omertosa.
in quel processo, se ci sarà, tutto il paese sarà messo sotto accusa, un mondo si dovrà guardare allo specchio, non potrà volgere lo sguardo altrove.
il film è lento, non ci sono colpi di scena, non si approfondisce il terribile fatto di violenza, e qui sta la grandezza del film di Lucas Belvaux, secondo me, lui prende la strada meno battuta, meno facile.
è un film sulla coscienza, il coraggio e la vigliaccheria, un film quasi interiore, molto è il non detto, alla fine ti lascia inquieto, stai male per Pierre e i suoi (nostri) fantasmi.
è un piccolo capolavoro, cercatelo, anche se non è una passeggiata - Ismaele





..Luas Belvaux signe un film sensationnel avec lequel il nous confronte à une situation à la fois complexe et banale qui n’a rien d’anodin et, ce faisant, il nous oblige à nous regarder en face et à penser notre société…

Lucas Belvaux che, partendo da un fatto di cronaca realmente accaduto a New York nel 1964 ai danni della cameriera Kitty Genovese brutalmente assassinata di fronte a trentotto testimoni rimasti inermi, ha costruito una tensione impalpabile, lenta e costante facendo leva su di un senso di colpa globale. E' così che 38 témoins rinuncia alla suspense e all'azione nel nome di un'attesa che all'inizio può essere interpretata come immobilità, per poi riscattarsi parzialmente seguendo il ritmo naturale di una coscienza in fase di ribellione. Ambientata in un tranquillo quartiere residenziale, la vicenda invece che girare intorno alla vittima e al suo assassinio, elementi utilizzati come semplice scintilla scatenante, si concentra sull'indifferenza di un groppo di co-protagonisti che, impegnati nella difesa delle proprie vite, fingono un'estraneità assoluta rispetto al delitto consumato fuori dalle loro finestre nell'indifferenza generale. Ma il problema è che, nell'era della spettacolarizzazione del dolore, in cui questo tipo di lutti sembrano diventare di proprietà globale, è difficile mettere a tacere la consapevolezza della propria mancanza di coraggio…

Un quartiere popolato da gente ordinaria, "normale" la si definirebbe, come in molte altre realtà in cui ci si può riconoscere. Un quartiere come tanti che viene scosso dall'omicidio di una ragazza, ma qui non c'è mafia o criminalità organizzata, non c'è la paura di ritorsioni contro chi ha visto ma non ha voluto dire niente. E' qualcosa di diverso e proprio per questo probabilmente più destabilizzante perché emerge l'impotenza e l'ignavia di una comunità che non può essere più chiamata tale. 38 testimoni che diventano 38 complici di un assassinio sotto i colpi delle pugnalate e soprattutto dell'indifferenza.
E' una pellicola che colpisce e mi ha colpito nel profondo, dallo sviluppo lento ma implacabile, che inizia come un film di genere per poi abbandonarlo, perché non è la scoperta dell'assassino la cosa importante, ma il come ed in quale contesto l'elemento più interessante. Il film descrive la morte di una comunità di persone rinchiusa ognuna di loro all'interno delle proprie mura, lo sguardo passivo ed indifferente. Molto bella la catarsi finale, la ricostruzione del delitto, quelle grida che peseranno come un macigno sulla coscienza collettiva.



Belvaux n’a aucunement l’intention de faire le procès de ses contemporains, insensibles au malheur des autres. Il a, bien au contraire, l’art de présenter tous les points de vue sur une situation donnée et de ne jamais juger ses personnages. Constat de l’impuissance des citoyens face à un monde extérieur qui effraie de plus en plus, 38 témoins va pourtant au-delà de la simple dénonciation de la lâcheté humaine. En situant son film dans le port du Havre où l’on voit constamment des porte-conteneurs débarquer leur marchandise, le cinéaste se fait le témoin d’un monde de plus en plus déshumanisé (effrayante séquence où Sophie Quinton se perd dans le dédale des conteneurs entassés sur le quai) où aucun grain de sable ne doit dérégler l’implacable machine économique. Peu à peu, le spectateur prend conscience que ce crime n’intéresse finalement personne et que l’absence de témoignage arrange tout le monde, au même titre que notre indifférence face au malheur des pays pauvres qui se situent à nos portes…

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