domenica 17 febbraio 2013

Viva la libertà – Roberto Andò

quando c'è Toni Servillo, con l'aggiunta di Valerio Mastandrea, come non andare a vedere quel film?
non ne sapevo niente, mi ha fatto sorridere, e anche ridere, e poi pensi che se il segretario del partito che, forse, vincerà le elezioni, anziché citare Brecht cita le battute di un comico che, giustamente, lo prende in giro, io preferisco Toni Servillo.
non perdetelo, non è perfetto, ma è un bel film - Ismaele




Si parla di politica, ma dentro il baule di Andò c’è molto altro: il cinema, la giovinezza, le donne, l’amore, la filosofia, la letteratura, solo per dire alcuni ingredienti. Il tutto, supportato da un cast impeccabile, anche per i personaggi secondari, tra cui spicca un Valerio Mastandrea sempre più versatile. La sceneggiatura di Andò e Angelo Pasquini ci propone una sorta di favola, come quando da piccoli si gioca iniziando con la formula “facciamo finta che…?”. Come in tutti le favole si ride e si riflette e si esce dal cinema soddisfatti a patto che ci sia lasciati un po’ sorprendere e che si sia stati al gioco.

questo è un film chiaramente zavorrato dal suo programmatico impianto allegorico; che forza spazi e tempi scenici per (di)mostrare un pensiero; dominato da un Servillo scisso nel doppio ruolo che intasa un po’ troppo lo schermo con la sua istrionica presenza. Ma, nonostante tutto, Viva la libertà (grido di pasolinana memoria) è un film che vive di una sua intima e bizzarra energia: la riscoperta del valore etico delle parole, del potere insito in esse quando sono connesse a un sentire. “Le parole sono importanti” diceva Michele Apicella qualche anno fa… Ecco, in fondo non è nient’altro che un auspicio il film di Roberto Andò. Una sincera speranza al di là di qualsiasi strumentalizzazione...: riscoprire un passato condiviso, riattivare passioni sopite, accettare le (proprie) tante identità per raggiungere la leggerezza. Quella paradossale leggerezza del guardare dritto in faccia la catastrofe.

Il doppio si presta benissimo e in maniera funzionale ai molti parallelismi che il film crea tra i suoi vari mondi a confronto, quello di Oliveri e di Ernani, quello del cinema e della politica, quello di Roma e di Parigi, quello tra il registro ironico e quello esistenzialista ed eminentemente drammatico, servendo a dovere un film ottimamente scritto e ulteriormente impreziosito dal ‘fattore Servillo'. Eh già perché che piaccia o meno, la capacità di Servillo di accentrare film e strutture narrative attorno alla sua formidabile presenza drammaturgica rende ogni cosa più chiara, essenziale, intuitiva

Complessivamente invece, pur riconoscendo il livello della confezione, e l'impegno profuso tanto nella qualità della componente attoriale, quanto nella precisione della messinscena, non si può non notare una semplificazione eccessiva nelle psicologie dei personaggi, e più in generale nell'apparato teorico della storia, presente in maniera esaustiva nel libro, ed invece carente nella trasposizione filmica. Una riduzione che conferisce all'opera un senso d'approssimazione ed una consequenzialità aprioristica, calcolata invece che spontanea. In questo senso è illuminante la decisione finale di Olivieri, quella che decide le sorti della vicenda, la cui resa oltre alla sensazione di non essere supportata dal necessario bagaglio emotivo, sembra sciogliersi con un fare nebuloso, e con una motivazione figlia più del desiderio di chiudere il cerchio che di spiegarlo. Da questo punto di vista risulta migliore, anche se un po' troppo compiaciuta (ci riferiamo ai vezzi ed ai tic rivelatori di una latente follia) , la figura di Ernani, almeno lui, estrinsecato come si conviene ad un fool della sua portata. Favola filosofica che indaga sui mali di un paese in agonia, "Viva la libertà" non mancherà di stupire per l'irridente scherzosità di certi passaggi, fatti ad arte per ironizzare su una classe politica che si copre di ridicolo (anche il presidente della repubblica non viene risparmiato) ma rimane forte l'impressione dell'ennesima occasione mancata.

Non si può che elogiare per la sincerità e le emozioni che trasmette Valerio Mastandrea, che in Andrea Bottini,  il fibrillante “secondo” del segretario dell’opposizione  Enrico Oliveri, in fuga momentanea per i sondaggi negativi e poi del fratello gemello Giovanni Ernani, depresso bipolare, subisce una metamorfosi dal cinismo alla speranza, attraverso mille espressioni mimiche e  gestuali che lo accostano sempre più al secondo; lo stesso vale anche per i contributi di  Michela Cescon, solida moglie di Enrico e Valeria Bruni Tedeschi, recuperato, per l’occasione, ex amore di gioventù di ambedue i fratelli. Splendido cameo del grande Gianrico Tedeschi. E poi c’è Toni Servillo, in agio felice nel doppio ruolo dei gemelli, come tutti gli attori specie se grandi, dove esprime la cupa depressione ansiosa del politico in crisi e la contagiosa euforia del gemello filosofo pazzo che incute speranza con citazioni colte e indimenticabili per la loro bellezza, come i versi di Brecht, o balla felice più con i suoi amici della clinica psichiatrica, in cui è stato ricoverato e va a trovare, che con una simbolica cancelliera tedesca visto dal buco della serratura, con una maestria ormai mitica, che si esprime più che nelle differenze nelle affinità che li rendono indistinguibili e allora …al ritorno di Enrico, chi sarà dei due? Buona visione di un film notevole.

La sua è un’operazione intellettuale (ovverosia snob) colma di vuoti, che non si possono riempire con raffinati e potenti contrappunti musicali insensati (perché paiono rivenienti da - e destinati a - altri lavori più consoni), con siparietti tutt’al più ingenui (il valzer con la cancelliera tedesca; le manie da rain man del Servillo versione gemello fuori di testa; Andrea Renzi che imita D’Alema), con elogi di follie, concetti "rivoluzionari" come la passione, ed elargizioni una tantum di simboliche figure storiche “giuste” (Fellini, Berlinguer).
La pretenziosità dilaga e obnubila; qualsiasi riflessione il film spera di suscitare (compreso il finale "enigmatico") viene affossata dall’evidente autocompiacimento e distacco. A guardare le cose dall’alto e da dietro i paraventi dell’autoreferenzialità e dell’intellettualismo chic non se ne percepisce la consistenza, la grandezza, la precarietà.
E gli attori non salvano la baracca, anzi: un Toni Servillo poco convinto (ed ancor meno convincente) anima due gemelli distinguibili solo dal cambio di ambientazione e partner; Valeria Bruni Tedeschi risulta oltremodo irritante e falsa; Anna Bonaiuto pare capitata sul set per sbaglio e comunque le viene dato un peso irrilevante; Mastandrea ha la solita espressione minimal-frustrata buona per ogni esigenza.
Quella dello spettatore, a seguito della visione di Viva la libertà, è di dimenticarsene quanto prima.

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